Trump fa retromarcia sui dazi e annuncia che scendono al 10% per tutti per 90 giorni, mentre salgono quelli per la Cina. Il settore agroalimentare rimane comunque tra quelli più coinvolti dai nuovi scenari. Il Governo italiano ha annunciato aiuti per 31 miliardi e punta alla missione a Washington del 17 aprile.
Onofrio Rota, Segretario generale della Fai-Cisl, la Premier Meloni ha ribadito che una “guerra commerciale non avvantaggerebbe nessuno, né Ue né Usa”: condivide questa posizione?
Si, nel senso che la logica dei mercati internazionali dovrebbe essere sempre quella del ‘win-to-win’, cioè del vincere insieme, realizzando una competizione leale, fondata sulla qualità del lavoro e delle produzioni, e su criteri di reciprocità, mentre invece le guerre commerciali innescano reazioni molto pericolose, basta vedere nel giro di pochi giorni i miliardi bruciati sui mercati finanziari, ma anche il rischio concreto di inflazione e di successiva recessione.
Il Governo sollecita a non creare allarmismi.
È comprensibile il richiamo del Governo ad evitare tensioni, un atteggiamento che diversi ministri ci hanno ribadito nei giorni scorsi anche nell’ambito del Vinitaly, ma sarebbe un grave errore sottovalutare quel che sta accadendo a livello globale. Oltre ai dazi, mi preoccupano molto le idee e i linguaggi di Trump. Gli Usa hanno sempre rappresentato, anche se tra tante contraddizioni, un faro per le democrazie occidentali. Oggi, fa un certo effetto sentire il Presidente annunciare che vuole prendersi il Canada e la Groenlandia, che bisogna rinominare il canale di Panama, che l’Ue è nata per fregare gli Usa… Certi ragionamenti così banali, autoritari, militaristi, un tempo ce li saremmo aspettati da altri personaggi, non da un Presidente degli Usa.
Temete ricadute sull’occupazione?
Si. È legittimo immaginare che le imprese italiane in qualche modo riusciranno a cavarsela, è già accaduto in passato durante diverse crisi, però sono processi di medio e lungo periodo, mentre nell’immediato una ricaduta sulle vendite e di conseguenza sul lavoro non possiamo escluderla.
Avete una stima dell’impatto occupazionale?
È ancora azzardato fare proiezioni settoriali, ma la stima di crescita del Pil italiano è stata abbassata dallo 0,8% allo 0,6%, inoltre la Cisl valuta un rischio in generale per oltre 60mila posti di lavoro per ogni anno di applicazione dei dazi nelle percentuali annunciate all’inizio da Trump. Noi dobbiamo considerare che l’agroalimentare italiano esportato negli Stati Uniti vale 7,8 miliardi, ad esempio il mercato americano solo per il nostro vino vale circa 2 miliardi, quasi il 25% del totale, e solo il vitivinicolo da noi occupa in tutta la sua filiera quasi 900mila addetti.
Cercare altri mercati può essere utile?
Continuare a dialogare con gli Usa è indispensabile, non solo per fattori economici, ma per motivi storici, geopolitici e persino morali. Ma è chiaro che adesso per l’Europa è suonata la sveglia: o ci si muove uniti, evitando spaccature, nazionalismi, isolamenti, o saremo condannati all’irrilevanza, che è poi l’obiettivo di diversi leader nel mondo. Poi nel lungo periodo sarà doveroso cercare rapporti commerciali anche su altri fronti, in Asia, Sud America, Africa, purché si facciano accordi in grado di rispettare la reciprocità sul piano del lavoro, della sicurezza alimentare, dell’impatto ambientale delle produzioni. Questi sono temi che abbiamo attenzionato, ad esempio, per l’accordo tra Ue e Mercosur, che a differenza di quello con il Giappone non darebbe al momento abbastanza garanzie su questi aspetti.
Il Governo ha annunciato di voler semplificare il quadro normativo, inoltre di considerare ideologico il Green Deal.
Sulle semplificazioni possiamo essere d’accordo, spesso la nostra burocrazia diventa un ginepraio di regole che non sempre garantiscono trasparenza e legalità, bisogna capire dove si vorrebbe intervenire, per la nostra categoria è fondamentale che certe semplificazioni non vadano a indebolire la sicurezza sociale o gli strumenti di lotta al caporalato. Mentre sul Green Deal sono d’accordo solo in parte: va rivisto, sì, ma laddove ha creato una contrapposizione tra mondo agroalimentare e tutela ambientale. Pensiamo ad esempio ai danni fatti da certe scelte di Bruxelles alla pesca mediterranea. Ma non possiamo fare del Green Deal un capro espiatorio per ogni problema. Negare il bisogno di politiche ambientali, o abbassare i nostri standard produttivi al livello di quei Paesi che il Green Deal non ce l’hanno, sarebbe un danno in primis per l’Italia, anche perché la nostra competitività si basa molto sulla qualità e perché siamo la culla della biodiversità, delle produzioni biologiche, di un sistema agroambientale che si connette con tante altre filiere, come quelle della cultura, del turismo, del legno, dell’economia circolare.
Dopo 48 congressi territoriali la Fai-Cisl si appresta a concludere nei prossimi giorni anche i 19 congressi regionali, per poi arrivare al congresso nazionale del 4-6 giugno, che voci giungono dai territori e dalle fabbriche rispetto a questi temi?
C’è una grande consapevolezza di quanti sforzi dovremo fare per evitare che siano i lavoratori a pagare il prezzo di uno scenario globale in completo mutamento. Ma è una consapevolezza molto matura, vivace, per nulla rassegnata. C’è tanta volontà di partecipazione per aprire una nuova stagione di cambiamenti e di conquiste necessarie sul piano dei salari, delle tutele previdenziali, del benessere e della sicurezza sul lavoro, della produttività, del governo responsabile di un’intelligenza artificiale che dobbiamo per forza trasformare in intelligenza sociale, per non soccombere, e della necessità di puntare sulle competenze, sull’occupazione giovanile, sull’inclusione dei tanti immigrati che tengono in piedi buona parte del made in Italy. Tutti temi che stiamo affrontando dall’apertura della nostra fase congressuale e che saranno centrali anche nel nostro congresso nazionale.
Rossano Colagrossi