Una mostra con lo scopo di ricucire i fili che la storia ha spezzato, è quella allestita a Milano presso Palazzo Reale dal 23 settembre al 11 gennaio 2026, dedicata ad Andrea Appiani, la cui storia artistica e professionale si intreccia indissolubilmente con quella della città meneghina e di Palazzo Reale; edificio che ha assunto tale denominazione proprio a partire dal 1805, anno di incoronazione di Napoleone, figura a cui l'arti sta è strettamente legato, tanto da essere dallo stesso insignito di medaglie onorifiche come la Légion d'hon neur. Definito primo pittore napoleonico del Regno d'Italia e considerato una figura chiave del neoclassicismo milanese e nazionale, con una produzione che spazia dagli affreschi monumentali, ai ritratti, alle medaglie, con uno stile unico, riconosciuto per equilibrio, grazia e rigore formale è stato a lungo trascurato e dimenticato dalla critica moderna,
a dispetto di quanto fu osannato dai suoi contemporanei, basti pensare aN'omaggio fattogli da Thorvaldsen con un suo busto esposto all'ingresso della Pinacoteca di Brera, Andrea Appiani ha segnato un'epoca per la città lombarda, in cui Milano ha vissuto una vera e propria apoteosi, tra il dominio asburgico e la presenza di Napoleone Bonaparte, che la nomina, prima, capitale della Repubblica italiana, e poi, del Regno d'Italia, concretizzando per la prima volta quel sogno di unità del nostro territorio che poi si sarebbe realmente realizzato una sessantina di anni dopo.
Oggi, in occasione anche dei Giochi Olimpici Milano Cortina 2026, Milano vuole fare rivivere questo periodo glorioso della sua storia attraverso due importanti mostre; seguirà infatti alla mostra installata presso Palazzo Reale nelle stanze deN'Appartamento del Principe, con un proseguo nelle sale del Lucernario e delle Cariatidi, dal titolo 'Andrea Appiani. Il neoclassicismo a Milano”, una seconda mostra “Eterno e visione. Roma e Milano capitali del Neoclassicismo”, a partire dal 28 Novembre presso le Gallerie d’Italia, con l’intento di evidenziare l’eterna rivalità delle due città, come capitali artistiche e culturali.
La mostra odierna, dedicata ad Appiani, è la conclusione di un lungo e approfondito lavoro di ricerca scientifica, nato dalla collaborazione della prestigiosa curatela, costituita da Francesco Leone, Fernando Mazzocca e Domenico Piraina, con un comitato scientifico che ha selezionato oltre un centinaio di opere dell’ar tista, ottenute da prestiti privati e pubblici, sia museali italiani (Pinacoteca di Brera, Castello Sforzesco, Villa Carlotta, ...) come stranieri, tra cui il Louvre di Parigi, al fine di ricostruire quella che è stata la sua carriera artistica ed umana. Una mostra senza precedenti, basti pensare che l’unica parziale monografica dedicata ad Appiani risale al 1969, lasciando poi nell’oblio della memoria questo artista, le cui tracce sono ravvisabili non solo a Palazzo Reale (dove tuttavia molte opere sono andate perdute durante la Seconda Guerra mondiale), ma anche nei numerosi luoghi della città che portano la sua firma, dalla Chiesa di Santa Maria presso San Celso, che conserva nella cupola i suoi straordinari affreschi dipinti tra il 1792 e il 1795, alla Villa Reale con il Parnaso del 1811, ai palazzi privati come Palazzo Greppi, Palazzo Orsini, Palazzo Arconati Busca Visconti, Palazzo Lucini Passalacqua poi Bergamasco e la vicina Reggia di Monza, dove Appiani nel 1792 realizzò nella Rotonda gli affreschi con le Storie di Amore e Psiche. Tutti luoghi di un ricco itinerario artistico capace di far emergere la poliedricità di questo artista, non solo pittore, ma vero e proprio artigiano dell’arte, artista totale dai mille aspetti. Andrea Appiani nasce a Milano nel 1754 dal medico Antonio Appiani e da Marta Maria Liverta. Avrebbe dovuto seguire le orme paterne, ma vista la sua predisposizione per le arti visive viene iscritto all’età di 15 anni alla scuola privata di Carlo Maria Giudici, noto artista milanese, dopo una breve esperienza presso un “mediocrissimo” pittore. Frequentò poi lo studio dell’Accade mia Ambrosiana del frescante Antonio de Giorgi. E’ in questi anni giovanili che entra a contatto con i principali esponenti della vita culturale milanese, da Gaetano Monti, Piermarini, Aspari, Parini, Albertolli e più tardi Monti e il Foscolo, con cui rimane amico per tutta la vita.
Dopo la morte del padre, non avendo ancora raggiunto il successo artistico, si vede costretto a fare diversi lavori: dipinge costumi e scene per il teatro alla Scala, decora carrozze e dipinge fiori su seta. La vera svolta artistica per il pittore avviene tra il 76 e il 77, grazie alla conoscenza di Parini, preceduta dal suo ingresso, tramite Pietro Verri, negli ambienti aristocratici illuminati della Milano Asburgica, ai cui esponenti inizia a fare ritratti e presso i cui palazzi è invitato a dipingere affreschi che lo portano ad una vera e propria scalata professionale tra gli anni 80 e 90.
E’ in questo periodo che si mette alla prova anche nella pittura da cavalletto, come si evince nella seconda sala della mostra dove sono esposte 4 grandi tele ovali con “Storie di Venere”, di impronta classica. La mostra milanese, suddivisa in 10 sezioni, ricostruisce, in parte cronologicamente e in parte tematicamente, l’intero percorso artistico del pittore milanese, costellato dai numerosi ritratti da lui fatti, da quelli eseguiti per i suoi amici e committenti, da Parini, Canova, Vincenzo Monti, a quelli di Napoleone (a cui fece il primo ritratto della storia) e dei suoi familiari, come l’imperatrice Joséphine de Beauharnais, con la quale ebbe, come Canova, un rapporto speciale, ritraendola in diverse occasioni nel corso della sua vita.
Ritratti che egli amava fare anche ai suoi famigliari, dalla moglie, Costanza Bernabei ai figli. Ad aprire il percorso della mostra il disegno di una mano (la sua) per indicare metaforicamente il grande lavoro manuale svolto da Appiani, non solo come pittore, ma anche come fornitore di disegni per mobili maggiolini, per porte, carrozze, accanto ad un autoritratto del 1791 che lo vede insieme a 3 suoi amici del Castello, dove emerge la sua impronta classicheggiante, il suo grande virtuosismo e la grande carica introspettiva contenuta nei suoi sguardi.
Passando attraverso alcuni ritratti dei protagonisti dell’Illuminismo, presenti nella seconda sala, si giunge in mostra all’incontro con le tele dedicate a Venere e gli affreschi dedicati ad Apollo, che gli fanno guadagnare l’appella tivo di “pittore delle grazie”, erede di Raffaello e Correggio, per l’armonia e la bellezza che sono capaci di trasmettere. La quarta sala è invece dedicata alla pittura religiosa con diversi disegni preparatori per la cupola della Chiesa di San Celso, mettendo in evidenza il ruolo di rinnovatore avuto da Appiani anche nella pittura di genere sacro. Dopo infatti un lungo viaggio di formazione tra Parma, Bologna, Firenze e Roma, che lo tiene lontano da Milano tutto il 1791, nel 1792 inizia a lavorare agli affreschi della chiesa milanese, che daranno origine alla più importante decorazione murale realizzata in Lombardia nella seconda metà del Settecento, ricca di ben 86 figure. Il lavoro, che lo tiene occupato fino al 1795, evidenzia il suo sperimentalismo sia nell’uso del trompe d’oil, dove guarda agli affreschi milanesi di Tiepolo, sia nell’atten zione verso i riflessi di luce e di colore che chiamano in causa il grande Leonardo. Gli affreschi sono protagonisti indiscussi della produzione di Appiani fino alla fine della dominazione asburgica, quando gli vengono commissionati numerosi lavori dai notabili milanesi per abbellire i loro palazzi. Quando nel 1796 Napoleone fa il suo ingresso trionfale a Milano, Appiani, che ha già 42 anni ed è artista affermato, comprende immediatamente l’impor tanza del cambiamento storico e non esita a mettersi a disposizione del nuovo regime, che, a sua volta, vede nel pittore il grande talento e l’occasione per dar vita ai simboli, alle allegorie e alle opere celebrative utili per una propaganda di un potere nuovo e privo di tradizione. E’ così Appiani a dare origine all’iconografia napoleonica (basti pensare che tra l’86 e l’87 farà ben 100 ritratti a Bonaparte) di cui ci parla la sesta sala della mostra, a partire dal primo ritratto che egli dedica al sovrano nel 1796 fino alle effigi divenute iconiche, come quella del 1803 in cui il generale francese è raffigurato nelle vesti di Presidente della Repubblica Italiana, come emerge nella settima sala e poi nell’ottava quando la propaganda napoleonica si manifesterà attraverso le numerose commissioni che il governo francese darà ad Appiani per affrescare e decorare in particolare Palazzo Reale, simbolo del potere napoleonico.
In questo senso la nona sezione della mostra, allestita nella Sala del Lucernario, presenta il bellissimo cartone firmato da Appiani degli affreschi dell’Apoteosi di Napoleone che decorano la Sala del Trono, facendo da preambolo all’ultima sezione della mostra che presenta al pubblico per la prima volta i Fasti di Napoleone: un imponente apparato decorativo formato da 35 dipinti raccolti in 20 nuclei tematici, andato perduto insieme al ballatoio su cui correva, lungo tutto il perimetro della sala. Un capolavoro ricostruito temporaneamente grazie ad un allestimento di immagini su tela, realizzato sulla base di lastre fotografiche conservate presso il Castello Sforzesco e grazie alle incisioni di Giuseppe Longhi, volute dallo stesso Bonaparte.
Ecco dunque che la storia di Appiani proprio in queste ultime sezioni diviene testimone viva anche della storia di Palazzo Reale attraverso il ricco apparato iconografico che si cerca di ricomporre per permetterci di entrare in possesso di ciò che le guerre del Novecento ci hanno in parte rubato, senza tuttavia riuscire a cancellarle per sempre.