Lo stupore e la meraviglia irrompe nella vita famigliare della “Natività” di Lorenzo Lotto, opera che quest’anno il Museo Diocesano Cardinal Carlo Maria Martini propone quale “Capolavoro per Milano 2025”, invitando il suo pubblico alla contemplazione, come consuetudine, dopo un lento e progressivo percorso storico e spirituale di avvicinamento. La mostra allestita al primo piano del museo milanese dal 28 ottobre al 1 febbraio, curata da Nadia Righi, direttrice del museo e da Axel Hemery, direttore dei Musei Nazionali di Siena, arricchita anche da un coinvolgente video curato da Ivano Conti con le musiche originali di Walter Muto, ha al centro la splendida tavola del maestro veneto, proveniente dal Museo Nazionale di Siena, nei cui depositi è stata ritrovata intorno agli anni Trenta del secolo scorso, dopo essere appartenuta in origine alla collezione Gonzaga di Mantova.
Si sa che è un’opera di devozione e che ha subito nei tempi una serie di rimaneggiamenti con una riduzione delle sue dimensioni per il deterioramento delle parti laterali. Nella tavola è rappresentata una scena molto intima e famigliare legata al momento del primo bagnetto di Gesù. Un’iconografia inconsueta, che oltre alla Famiglia, vede la presenza di una “levatrice incredula”. Una figura quest’ultima tratta dai vangeli apocrifi, dal protovangelo di Giacomo e da quello dello Pseudo Matteo, poi confluiti nella Leggenda Aurea ( testo pubblicato da Jacopo da Varazze nel XIII secolo) in cui si parla di due levatrici, che accorrono chiamate da Giuseppe e arrivano quando il parto è già avvenuto, a conferma del Vangelo di Luca (Luca 2,6-7) che lascia intendere che Maria abbia partorito da sola “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose nella mangiatoia”. Mentre la prima levatrice, Zelomi, resta meravigliata del parto miracoloso, la seconda, Salomè, non credendo alla verginità della puerpera, vuole verificare e viene punita con la paralisi di un arto, che verrà risanato solo dopo il suo pentimento. Contemporaneamente in Europa girava un’altra versione di origine araba della vicenda, in cui si parlava di una levatrice anziana, Anastasia, con le mani paralizzate, che di fronte al miracolo della nascita del bambino, meravigliata, riottiene l’uso delle mani. Pure senza alcuna certezza i critici ritengono che Lotto nel suo dipinto abbia unito le due versioni, sovrapponendo le due figure. Le due possibili letture lasciano aperta una duplice interpretazione di tutta la scena. Questa iconografia appartenendo ad un’opera di devozione privata permette a Lotto di sperimentare una propria e originale interpretazione. A riassumere e a tenere insieme tutta la rappresentazione è l’utilizzo della luce grazie alla presenza di due fonti, una, sullo sfondo, costituita da un fuoco che quasi non si vede, ma che anima in realtà la vita, che va avanti mentre i bagliori improvvisi, in primo piano, illuminano quasi a giorno il dipinto, caricandolo di una luce molto fredda, capace di superare quella naturale, pur senza essere artificiale, evocativa della luce Divina, che dà forma a tutti i colori. Colori tutti primari che brillano e che sono resi con una tale saturazione da permettere di percepire anche la materia degli abiti che i soggetti indossano. Totale e particolare stanno dunque insieme nel dipinto. L’opera porta in basso una data non completamente decifrabile, e la firma di Lotto, emersa in seguito alle indagini diagnostiche eseguite durante l’ultimo restauro. Dietro il quadro è stato inoltre ritrovato un cartiglio descrittivo dell’opera che non si sa se autografo o aggiunto da altri in un momento successivo all’esecuzione dell’opera.
In primo piano si svolge la scena del bagno di Gesù, che coinvolge la madonna e una levatrice con alle spalle Giuseppe, mentre sullo sfondo appare la sagoma di una donna che sta lavando i panni, come ad indicare la contemporaneità dei due eventi. Lotto, scegliendo questa organizzazione scenica, sembra suggerire che i grandi eventi della storia avvengono anche mentre gli uomini sono distratti o indaffarati in altre faccende. Un’interpretazione questa che coincide perfettamente con la personalità originale del pittore, che voleva dare una propria interpretazione a ciò che andava a rappresentare, mediata dalla meditazione e dalla preghiera. In questo senso la nascita di Cristo, attraverso la rappresentazione del momento del bagnetto, diviene qualcosa di più intimo e quotidiano, materno e reale. E’ una scena di carattere naturalistico in cui è presente la verosimiglianza, rappresentata dalla naturalezza e dal realismo con cui è dipinto il bambino, che sembra ritrarsi in un gesto di timore verso l’acqua, ma anche dagli oggetti presenti, come le fasce semi avvolte, un catino di rame su cui si riflettono gli abiti delle due donne e delle brocche di uso quotidiano. Gesù presenta ancora il cordone ombelicale non perfettamente tagliato ad indicare la sua incarnazione, il suo essere umano. A catturare l’attenzione è tuttavia lo sguardo di Maria che sembra offrire il neonato all’umanità come fonte di salvezza. La tavola è giunta a noi in condizioni molto deteriorate e questo sicuramente in ragione del fatto che a lungo Lorenzo Lotto è rimasto nell’ombra. Gli stessi critici, come Arentino, lo avevano stroncato e lo stesso Vasari non ne parla con grande entusiasmo. Nato a Venezia nel 1480 e morto nel 1556 a Loreto, Lorenzo Lotto fu riscoperto solo nel 1953, dopo secoli di oblio, da Bernard Berenson, che ne vide alcune opere e ne individuò immediatamente il genio, grazie alla sua capacità comunicativa, tanto da indurlo a dire “questo pittore mi parla come nessun altro mai mi è capitato nella vita”, dando inizio alla sua grande rinascita, attraverso un susseguirsi di studi e di mostre.
Le ragioni della poca fortuna di Lorenzo Lotto sono strettamente legate ai tempi e ai luoghi in cui si era manifestata la sua opera: una Venezia rinascimentale in cui la scena artistica era dominata da grandi personalità come Bellini e Veneziano, che offuscarono il suo talento, non essendo oltre tutto egli dotato di spirito diplomatico e di senso politico. Pittore molto intimo, colto, intellettuale, dotato di una profonda spiritualità, si dimostra sempre molto attento ai suoi pari, agli uomini, alla vita di tutti i giorni e alle gioie e ai dolori della quotidianità. Vive in un’epoca di grandi rivolgimenti storico religiosi, in cui vengono messi in discussione gli stessi dogmi della chiesa cattolica a seguito della Riforma Protestante, con conseguenti rivendicazioni politiche dell’Europa nei confronti dell’Italia. Lui come pittore e artista estremamente sensibile, oltre che uomo di chiesa, vive dunque un percorso molto tormentato rivendicando la propria originalità creativa in più occasioni, pur non essendo una star dell’epoca, e vivendo la pittura come un suo percorso tutto personale, in cui ritiene di avere il diritto di fare scelte proprio, anche in disaccordo con la sua committenza.
Nel 1503 non trovando spazio a Venezia, si sposta a Treviso, chiamato dal vescovo Bernardino de Rossi che gli commissiona una serie di lavori che lo renderanno famoso. I suoi esordi a Treviso sono soprattutto come ritrattista. I suoi ritratti sono molto colti, pieni di simbologie e rimandi enigmatici che li rendono spesso complessi da decifrare, ma molto affascinanti e questo perché è un pittore molto interessato ai personaggi che rappresenta, come anche alle diverse fasi del suo lavoro. Grazie alle committenze di Treviso inizia ad essere chiamato anche in altre città italiane: lavora prima nelle Marche e poi a Roma, dove è chiamato per decorare le stanze vaticane. L’arrivo tuttavia di Raffaello, artista desiderato da tutti per la sua capacità di unire classicismo e medioevo, paganesimo e cristianesimo nella sua tensione verso una pax filosofica, gli fa perdere la commissione e quella che era una delle stanze del Vaticano da lui affrescata viene addirittura coperta da una pittura di Raffaello. Nel 1513 ritorna così a Bergamo, dove rimane fino al 1526 e inizia a dipingere pale d’altare di grandi dimensioni, di ampio respiro, piene di storie, di interpretazioni personali, di riferimenti nordici e piene di alchimie. Contemporaneamente lavora anche con una committenza privata di livello molto alto per la quale attua una serie di dipinti sia ritratti singoli come di coppia, come di vedovanza, tutti disseminati di piccoli indizi e dettagli. E’ questo il periodo più sereno della sua vita. Lavora con un grandissimo intagliatore, Capoferri che, ossessionato da Lotto, cerca nuovi modi per dipingere i legni e si dice che muoia esaurito proprio dal pittore. Nel frattempo Lotto si sposta a Recanati e continua a distanza a studiare le tarsie da concludere a Bergamo per gli stalli del coro della cattedrale di santa Maria Maggiore. All’interno di questa intemperia spirituale che non gli dà tregua, tormentato, mentre porta a termine altre piccole tele, conclude la sua vita nel 1556 a Loreto, dove, due anni prima era entrato a far parte della comunità religiosa della Santa Casa. Lorenzo Lotto era riuscito alla fine della sua vita probabilmente a trovare la pace, lontano dalle grandi pressioni politiche e storiche, dedicandosi a piccole opere fatte per persone scelte da lui, in stanze private che gli davano tutta la libertà di dipingere secondo il suo sguardo. Uno sguardo che sapeva posarsi sull’ordinario per evidenziare lo straordinario, mettendo in evidenza la presenza del miracolo nel quotidiano, proprio come dovrebbe insegnare ad ognuno di noi, ancora oggi, l’evento del Natale: un miracoloso bagliore nelle tenebre della notte capace di trasformare le nostre ordinarie vite quotidiane.
Lorenzo Lotto, La Natività, Museo Diocesano Carlo Maria Martini-Milano, 28 Ottobre-1 Febbraio 2026

