Dopo 270mila posti distrutti in 10 anni, la perdita di un quinto della produzione totale in Europa, pari a 5 aziende come ArcelorMittal, il dumping massiccio e l’elusione delle norme europee sulle importazioni da parte della Cina, qualcosa si muove a Bruxelles per salvare la siderurgia europea. Dal primo trimestre del 2026 la Commissione europea punta a ridurre di quasi il 50 per cento le importazioni di acciaio dalla Cina e ad aumentare dal 25 al 50 per cento i dazi sui volumi extra, in linea con i dazi già applicati da Stati Uniti e Canada. La misura fa seguito a una prima stretta, che prevede che dallo scorso 1 aprile, le importazioni a dazio zero sono state ridotte del 15 per cento. Il pacchetto di tutele s'inserisce nel quadro dell'accordo sui dazi raggiunto a fine luglio tra UE e USA che prevede anche un'intesa di principio per dare vita a una "alleanza dei metalli", con l'obiettivo di proteggere le rispettive produzioni dalla concorrenza di Pechino. L’Europa, del resto, ha fatto notare il vice presidente dell’esecutivo europeo e commissario responsabile per la strategia industriale, Stéphane Séjourné, è l'ultimo grande mercato aperto “in cui non esisteva alcuna forma di reciprocità”. E questo non ha fatto che accentuare gli effetti collaterali distruttivi per la sua industria, come appunto il dumping dell'acciaio cinese a basso costo o i dazi all'importazione fissati al 50 per cento dagli Stati Uniti. Eurofer, l'associazione dei produttori europei di acciaio, ha da tempo lanciato l’allarme, chiedendo proprio che l'attuale quota di acciaio importato non soggetto a dazi doganali fosse dimezzata e che la barriera all'importazione fosse invece raddoppiata, dal 25 al 50 per cento. Secondo Bruxelles, l'industria siderurgica UE opera attualmente solo al 70 per cento della sua capacità, il livello più basso degli ultimi 20 anni. Boom energetico, contrazione della domanda e aumento delle importazioni a basso costo hanno messo in ginocchio diverse acciaierie nei 27, tra cui Taranto e Liegi. La Commissione punta a contrastare la sovra capacità asiatica, che ha causato un calo dei prezzi europei del 18 per cento nel 2024. Aziende come ArcelorMittal, Thyssenkrupp, Voestalpine e Liberty Steel considerano il piano UE una “risposta proporzionata a una situazione di emergenza”. Le importazioni da Cina, Turchia e India rappresentano ora oltre il 35 per cento del mercato europeo, rispetto al 21 del 2015. Le nuove quote saranno ora calcolate sulla base del consumo medio registrato tra il 2012 e il 2015, un periodo considerato più rappresentativo dell'equilibrio del mercato. Bruxelles prevede inoltre di rafforzare la supervisione con la gestione digitale delle licenze di importazione per prevenire l'elusione e la corsa alle licenze osservata negli ultimi anni. L'obiettivo dichiarato è stabilizzare i prezzi, ripristinare la visibilità e incoraggiare la transizione ecologica delle acciaierie. Le tensioni commerciali sono causate dai sussidi governativi, diretti e indiretti, che ricevono le aziende siderurgiche cinesi, che l’OCSE ha stimato in 36 miliardi di dollari all'anno. Un sostegno che, unito all'energia sovvenzionata, consente alla Cina di esportare acciaio fino al 30 per cento più economico di quello prodotto in Europa. Una concorrenza che l’UE considera “strutturalmente sleale”.
Pierpaolo Arzilla

