Ridurre i costi di 2,5 miliardi all’anno per mantenere la competitività. Tradotto, 13mila posti in meno entro la fine del 2030 in Germania, dove la capacità produttiva è considerata “sottoutilizzata” rispetto ai concorrenti cinesi. Quasi il 3 per cento della forza lavoro globale è interessato da un progetto che colpirà la divisione automotive, costretta a ridurre i costi di 2,5 miliardi di euro all'anno per provare a non uscire dal giro. Il piano concerne quasi il 10 per cento della forza lavoro di Bosch in Germania, e coinvolgerà diversi stabilimenti, tra cui la chiusura programmata di Waiblingen, vicino alla sede centrale del gruppo a Stoccarda, anch'essa colpita dai tagli. Nel 2023, Bosch aveva già programmato 9mila posti in meno a partire dal 2024, metà dei quali sono stati già liquidati. In totale, quindi, 22mila posti di lavoro da eliminare in 6 anni. “Dobbiamo lavorare urgentemente sulla nostra competitività nel settore e continuare a ridurre i costi a lungo termine: stiamo facendo tutto il possibile per raggiungere questo obiettivo”, ha dichiarato Stefan Grosch, amministratore delegato e direttore del lavoro di Bosch. “E non ci sarà modo - ha aggiunto - di evitare ulteriori tagli a quelli già annunciati, e questo ci addolora molto”. Germania ed Europa, ha assicurato, “rimangono centrali per Bosch”. Pur essendo considerato il più grande fornitore mondiale di componenti per auto, il gruppo non è stato risparmiato dalla crisi. Le case automobilistiche, soprattutto in Germania, stanno lottando contro il forte calo delle vendite e, in alcuni casi, contro i drastici crolli degli utili, che stanno colpendo anche i loro fornitori. L'utile netto di Bosch si è dimezzato lo scorso anno. Alla fine del 2024 l'azienda impiegava quasi 417.900 persone in tutto il mondo, circa 11.600 in meno rispetto all'anno precedente. In Germania, la sua forza lavoro è diminuita di oltre 4.500 unità, attestandosi a circa 129.600 effettivi, con un calo del 3,4 per cento. Nella divisione auto in Germania, sono impiegate poco più di 70mila persone. E’ il settore più grande del gruppo, che rappresenta oltre il 60 per cento del suo fatturato totale, pari a circa 90 miliardi di euro. IG Metall non nega i problemi gravi ma rifiuta il metodo con cui risolverli: sacrificare i lavoratori e mettere a rischio il loro futuro. “Non c'è dubbio che la situazione nell'industria automobilistica e dei suoi fornitori in Germania e in Europa sia molto tesa”, ha chiarito in una nota Frank Sell, presidente del comitato aziendale della divisione auto. “Tuttavia - ha aggiunto - respingiamo fermamente tagli al personale di questa portata storica, senza un impegno simultaneo a garantire la sicurezza delle nostre sedi in Germania”. I “costi associati a questo massiccio piano di tagli occupazionali - ha proposto - dovrebbero invece essere investiti nello sviluppo di prodotti e modelli di business sostenibili”. Il presidente di IG Metall ci è andato giù pesantissimo: “State calpestando i valori che hanno decretato il successo di Bosch: affidabilità, responsabilità e leale collaborazione. Robert Bosch (il fondatore ndr) si rivolterebbe nella tomba”, ha detto Christiane Benner. Il sindacato denuncia il paradosso di un’azienda che per restare competitiva sacrifica i propri dipendenti, che perderanno il lavoro, facendo perdere ai territori prospettive, potere d'acquisto ed entrate fiscali, e dunque ulteriore competitività. IG mette in guardia contro l'interruzione delle reti di approvvigionamento e delle strutture industriali. "Ora è il momento che la dirigenza si assuma la responsabilità, si sieda al tavolo con IG Metall e trovi soluzioni. E in fretta”. Bosch denuncia una produzione automobilistica globale “che rimane lenta”. L’’Europa specialmente è “in ritardo nell’elettro mobilità e nella guida autonoma”, tecnologie che stanno avanzando più rapidamente in Cina e negli Stati Uniti, che possono beneficiare di maggiori incentivi. Nella divisione powertrain, particolarmente colpita, l’azienda ammette “una significativa sovracapacità produttiva e una forte pressione sui prezzi, soprattutto dall’Asia”, come ha spiegato il direttore, Thomas Pauer. Anche il comparto della trazione elettrica, si fa notare, soffre di sovracapacità e continua a essere rallentato dall'incertezza che circonda la fine delle vendite di motori a combustione in Europa nel 2035.
Pierpaolo Arzilla