La situazione a Gaza è catastrofica: per più di 80 giorni Israele ha bloccato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza e questo significa 80 giorni senza cibo, senza medicine o altri importanti e vitali prodotti. Il presidente Netanyahu ha definito l’offensiva a Gaza “un’operazione senza precedenti nella storia delle guerre”, confermando ieri che l’Idf si impadronirà di tutto il territorio di Gaza. Nessun dubbio che sia senza precedenti, anche per la sua crudele determinazione nella carneficina. Stando alle Nazioni Unite ora le scorte alimentari sono esaurite, conferma il commissario Ue, Glenn Micallef. Dal canto suo, il segretario generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha denunciato il blocco di 116.000 tonnellate di cibo “a pochi minuti” da Gaza, mentre due milioni di persone muoiono di fame all’interno dell’enclave. Si può fare la guerra con le armi, con le bombe, con i droni. Oppure si può fare la guerra con la fame, arma chirurgica che fa notizia col solo silenzio che la circonda e le immagini. “Avrete le mani sporche di sangue”: parla un ex ostaggio israeliano, tenuta prigioniera per 482 giorni dal gruppo terroristico palestinese Jihad islamica, mentre esorta i parlamentari a porre fine alla guerra e a restituire i prigionieri. Nelle sue dichiarazioni alla Knesset, riprese dal Times of Israel, Arbel Yehoud afferma di essere stata torturata in risposta alle operazioni dell’Idf; chiede al governo di raggiungere un accordo; sollecita uno sciopero generale fino al ritorno del suo partner Ariel Cunio e di tutti i 58 ostaggi e aggiunge che “l’unica via d’uscita sono i negoziati. Guardatemi e vedete chi avete scelto di sacrificare come soluzione al problema di Gaza”. Ciò che Israele sta facendo a Gaza, sotto la guida del primo ministro Benjamin Netanyahu, è un vero massacro. E’ un “combattere una guerra sempre più intensa che, pur mirando apertamente e legittimamente a distruggere Hamas e a liberare i 58 ostaggi ancora detenuti lì 19 mesi dopo l’invasione e il massacro di Hamas, sta riducendo Gaza in macerie, causando un numero crescente di vittime civili di Gaza, giovani e anziani, costando la vita a più soldati israeliani e mettendo in pericolo gli ostaggi. Sta ampliando la campagna militare, informando al contempo l’opinione pubblica israeliana e mondiale sempre meno sui dettagli delle sue operazioni” commenta David Horovitz nel suo editoriale. “Il premier sta ignorando la volontà costante di oltre due terzi dell’opinione pubblica israeliana”. Il governo sta, con le sue stesse mani, distruggendo quel poco sostegno internazionale rimasto ai suoi sforzi. E sta screditando gli obiettivi legittimi della guerra (l’obbligo di recuperare gli ostaggi e di assicurarsi che Hamas non possa risorgere per massacrare gli israeliani) con incessanti e irragionevoli dichiarazioni ministeriali e ufficiali secondo cui gli obiettivi più ampi dell’offensiva militare includono la distruzione di tutta Gaza, la sua bonifica, lo spostamento dell’intera popolazione in un’area ristretta ai piedi della Striscia meridionale, la creazione di condizioni in cui i cittadini di Gaza abbandoneranno in gran numero la Palestina per paesi terzi non specificati, il mantenimento del territorio e la riattivazione degli insediamenti ebraici. Ma Hamas ha rapito 251 ostaggi con la lucida e cinica intenzione di usarli come leva per assicurarsi la sopravvivenza alla risposta militare israeliana al massacro di 1.200 persone nel sud di Israele, il 7 ottobre 2023. Non rinuncerà facilmente all’ultimo di loro, e non rinuncerà facilmente al controllo di Gaza. In mezzo ci sono loro, i civili, la popolazione tutta, le donne, i bambini, i malati, gli anziani. Ma il premier va avanti come un bulldozer, anche di fronte all’uccisione la notte scorsa di due diplomatici israeliani a Washington. Di fronte a tutti i morti di questa guerra. Prosegue Horovitz: “Continuare a combattere, con un numero crescente di morti tra gli abitanti di Gaza, soldati e ostaggi, e con obiettivi deplorevoli indicati da personaggi come il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, significa lacerarne il tessuto morale della nostra società e distruggere la legittimità internazionale di Israele, facendo così direttamente il gioco di Hamas”. Netanyahu non molla la presa. E il calcolo è semplice: se ferma la guerra, Smotrich e Itamar Ben Gvir escludono i loro partiti di estrema destra dalla coalizione, e lui perde la maggioranza. In un blog, Raul Wootliff fa autocritica: “La nostra tradizione non ci ha mai insegnato a confondere il potere con la rettitudine. La Torah non richiede una fedeltà cieca, ma una resa dei conti morale. Siamo il popolo del punto interrogativo, eppure stiamo perdendo la voce a causa dei punti esclamativi”. “La legge ebraica è chiara: i valori religiosi vengono prima degli obiettivi militari. Dagli assedi alle vittime civili, i rabbini si sono confrontati per secoli con questioni di moralità in guerra”, fa eco il rabbino Adam Zagoria-Moffet. In un telegramma inviato in risposta alla notizia del massacro di Deir Yassin, compiuto da paramilitari ebrei durante la Guerra d'Indipendenza nell’aprile del 1948, i due rabbini capo dell’epoca (Isaac Herzog e Ben-Zion Uziel) lanciarono un duro monito e un utile promemoria: “Il generale deterioramento dei valori morali in tutta l’umanità non è una scusa perché gli ebrei rinuncino ai principi fondamentali del patrimonio morale dell’umanità, che deriva in larga misura dall'insegnamento ebraico”.Tal Zelinger è invece fondatore e presidente dell’International Diplomacy Initiative: “La chiarezza sul campo di battaglia non si è sempre tradotta in chiarezza politica. E quel vuoto viene colmato da idee pericolose. Rioccupare Gaza non è un piano. È una trappola. È un’emorragia lenta. Eppure, stiamo andando alla deriva in quella direzione, non per necessità, ma per interessi politici a breve termine”. Non c’è giustificazione per prendere ostaggi. Non c’è giustificazione per uccidere bambini. Una sorta di follia si è impossessata del governo di Israele. E sono sempre più ampi i sospetti sul fatto che le Israel Defense Force (Idf) abbiano dovuto applicare non solo verso i militari ma anche nei confronti dei civili la controversa Direttiva Annibale, il protocollo di gestione degli scenari di crisi tradizionalmente applicata alle forze armate che impone alle truppe dello stato ebraico di evitare in tutti i modi il rapimento di uomini e donne in divisa da parte di gruppi terroristici o militanti. Anche a costo di uccidere gli ostaggi insieme ai rapitori, se intercettati, aprendo il fuoco in maniera indiscriminata, uccidendo sia i palestinesi sia gli ostaggi israeliani o i lavoratori stranieri catturati. Risuona, in quest’ottica, la testimonianza di Yoav Gallant, allora ministro della Difesa israeliano, poi cacciato dal premier Benjamin Netanyahu. Conferme sempre contestate dall’establishment israeliano, ma riprese anche dalla Commissione indipendente d’inchiesta sui Territori Palestinesi delle Nazioni Unite. Hanno fatto rumore anche le parole di Noam Dan, cugino dell’ostaggio Ofer Calderon, secondo cui tutta la strategia di Netanyahu a Gaza non sarebbe altro che una maxi-applicazione della Direttiva Annibale in termini strategici. Dan ha sottolineato che a suo avviso a Netanyahu non interessa davvero riportare gli ostaggi a casa, ma usarli come leva per giustificare una guerra che consolidi il suo potere. Simon Watkins, ex trader e addetto alle vendite senior nel mercato valutario, conferma che per Netanyahu è politicamente necessario procedere con un’aggressiva quanto pianificata bonifica di Gaza: i membri dell’Opec potrebbero ripristinare l’embargo degli anni ’70. Ma per quanto i prezzi elevati che ne deriverebbero danneggerebbero in particolar modo le famiglie povere, il gioco varrebbe cinicamente la candela.
Raffaella Vitulano