lL'America first, anche pappandosi imprese europee, che rischiano un’acquisizione silenziosa mentre gli investitori statunitensi capitalizzano. E’ la denuncia di Socialeurope.eu che in un articolo a firma di Tej Gonza (co-fondatore e direttore dell'Institute for Economic Democracy (Ied), professore associato presso l’Università di Lubiana) e Timothée Duverger (a capo della Cattedra TerrESS presso Sciences Po Bordeaux e ricercatore presso il Centre Émile Durkheim) racconta come gli investitori americani stiano acquisendo sempre più aziende europee. La presidenza di Donald Trump è iniziata con un’attenzione particolare al protezionismo commerciale e all’espansionismo geopolitico. Ma gli Stati sovrani non sembrano essere le uniche “materie prime” prese di mira dagli Stati Uniti. La “classe finanziaria”, come recentemente osservato da The Economist, “è sfuggita alla rivolta anti-globalizzazione” associata al movimento Make America Great Again di Trump e punta eccome a fare shopping in Europa. Altro che mercato interno: gli Stati Uniti, a quanto pare, ora stanno puntando al capitale europeo. Infatti, come recentemente riportato dal Financial Times, il valore delle acquisizioni di private equity con sede negli Stati Uniti in Europa è aumentato a un tasso doppio rispetto al resto del mondo. Il valore totale degli asset aziendali europei detenuti negli Stati Uniti è balzato da 1,05 trilioni di dollari nel 2011 a 3,79 trilioni di dollari nel 2024 , con quasi il 32% degli asset europei attualmente detenuto da investitori americani. Come ha spiegato un analista di Morgan Stanley, gli investitori statunitensi stanno sfruttando un arbitraggio finanziario, “acquistando in Europa e operando scelte strategiche sulle competenze che desiderano acquisire”. Le aziende europee sono considerate strutturalmente sottovalutate. Ciò è in parte dovuto alla debolezza dell’euro. Un altro fattore che contribuisce a questo fenomeno è il sottosviluppo dei mercati dei capitali, ovvero una crescente offerta di opportunità di proprietà d’impresa con una domanda insufficiente per consolidare il mercato. I trasferimenti di proprietà delle imprese stanno così accelerando in tutta Europa, a vantaggio di Washington. Di fronte ad un ricambio generazionale tra i proprietari delle aziende europee, il vecchio continente sembra tuttavia impreparato. La Commissione Europea avverte che ogni anno 600 mila aziende cambiano proprietà, e un terzo è minacciato dalla mancanza di opzioni di successione, lasciando miliardi di euro di capitale europeo vulnerabili all’acquisizione da parte di “predatori” finanziari globali. Ciò è corroborato da dati recenti provenienti da altri paesi europei. Nella sola Germania, 626 mila aziende stanno pianificando un trasferimento d’azienda nei prossimi due anni, pari a un sostanziale 16% di tutte le piccole e medie imprese (pmi). In Slovenia, l’Università di Lubiana ha condotto un sondaggio tra gli imprenditori nel 2024 per studiare questa tendenza. Alla luce dei recenti sviluppi, i risultati potrebbero non sorprendere, ma sono certamente motivo di preoccupazione. Si prevede che il 34% di tutte le imprese a capitale ristretto cambierà proprietario nei prossimi 10 anni, e il 75% dei proprietari non sa chi subentrerà. Questo è un problema per le aziende, ma anche per i lavoratori. La questione di chi acquisirà le aziende europee - e in che modo - è fondamentale per la stabilità delle economie nazionali e locali e, in ultima analisi, riguarda la sovranità economica e politica dell’Europa. Le pmi sono un motore di occupazione cruciale, responsabili del 71% della crescita occupazionale nell’economia non finanziaria. Le imprese locali sono fonti di innovazione e competitività e “rappresentano la linfa vitale delle economie e delle comunità locali”. Nel caso delle acquisizioni finanziarie, le conseguenze per la stabilità economica e politica possono essere disastrose. Molti commentatori hanno discusso gli effetti del settore del private equity non solo sulla sostenibilità delle imprese stesse, ma anche sui dipendenti, sulle comunità locali e sugli altri stakeholder della catena del valore. Mentre la Commissione Europea sottolinea l’“autonomia strategica” come una delle sue principali priorità di politica industriale, non è ancora chiaro quali misure concrete e sistemiche stia proponendo per impedire questa “frenesia di shopping” sulle imprese europee. Il "protezionismo proprietario" - ovvero la localizzazione della proprietà aziendale - rappresenta una strada con un potenziale significativo. In tutto il mondo esistono diverse strutture proprietarie, tra cui la proprietà delegata e la proprietà dei dipendenti, in cui il controllo e gli interessi finanziari sono ancorati, a lungo termine, alle comunità locali, ai dipendenti e ad altri stakeholder. Per alcuni, spiegano gli analisti, potrebbe sorprendere che la localizzazione non comporti alcun costo per l’efficienza e la crescita aziendale. Al contrario, queste aziende tendono a superare i concorrenti tradizionali e a dimostrare una maggiore resilienza alle crisi. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, la proprietà di oltre 10 mila aziende è stata “estratta” dal mercato e radicata nelle comunità locali. Le acquisizioni da parte dei dipendenti sono facilitate da trust perpetui, che privilegiano la creazione di valore a lungo termine rispetto all’estrazione finanziaria a breve termine. Il cosiddetto modello Esop è un tipo di leveraged buyout in cui l’idea principale è che i dipendenti non debbano investire i propri risparmi. Invece, gli utili futuri dell’azienda vengono utilizzati per estinguere il debito contratto per l’acquisizione. In questo modo, i modelli consentono ai dipendenti di ogni livello, non solo al management, di partecipare alla proprietà. Ed è meno rischioso di quanto alcuni potrebbero immaginare. Le ricerche dimostrano che i tassi di insolvenza sui prestiti Esop sono stati ben al di sotto di quelli di operazioni di private equity comparabili. Un modo per contrastare il protezionismo commerciale e l’espansionismo finanziario americano sarebbe quindi il protezionismo nella proprietà delle imprese. E’ comunque necessario emanare una legislazione specifica per garantire certezza normativa ai venditori e modelli sostenibili che ancorino saldamente la proprietà. È noto che anche gli incentivi fiscali che favoriscono i buyout dei dipendenti rispetto ai buyout finanziari svolgono un ruolo cruciale nel facilitare queste transizioni. Inoltre, è essenziale sviluppare una solida infrastruttura finanziaria con una gamma di strumenti finanziari in grado di supportare i leveraged buyout e ridurre il rischio per i finanziatori privati.
Raffaella Vitulano