Ci ha provato fino all’ultimo. Non solo la garanzia di non ricorrere all’obbligo della fiducia nel voto alla manovra (il famigerato articolo 49.3 della Costituzione) o la promessa di mettere all’ordine del giorno all’Assemblée nationale gli accordi raggiunti tra le parti sociali sui mestieri usuranti e il lavoro degli over 55. L’ultimo tentativo di trovare una maggioranza si è basato su una serie di ipotesi per rilanciare il potere d’acquisto dei francesi: agevolazioni fiscali e riduzione dei contributi previdenziali sugli straordinari, riduzione dell'imposta sul reddito per le coppie che campano con il salario minimo, detassazione delle donazioni familiari e nuovi sgravi fiscali dei cosiddetti bonus di condivisione del valore, versati dai datori ai dipendenti. Dopo 4 settimane, Sebastien Lecornu ha rimesso il mandato di primo ministro a Emmanuel Macron. Domenica sera, aveva appena presentato i 18 ministri del suo governo, confermando la gran parte della squadra scelta da Bayrou, con l’innesto di fedelissimi di Macron, come Roland Lescure (all’economia) e Bruno Le Maire, che dopo aver escluso il suo impegno nel nuovo governo ha poi accettato l’incarico alla difesa, dopo aver guidato il ministero dell’economia dal 2017 al 2024. La continuità con l’esecutivo precedente ha scatenato reazioni immediate non solo della sinistra e dell’estrema destra, ma ha lasciato molto perplessi socialisti e Les Republicains (centro destra). Il PS, in particolare, ha subito minacciato la censura in assenza di un nuovo dibattito parlamentare sulla riforma delle pensioni, “Siamo costernati - ha detto il primo segretario Olivier Faure - da una crisi politica senza precedenti” e da un governo che è “di una debolezza incredibile”. E che è durato appena 14 ore. Lunedì mattina il primo ministro ha dovuto prendere atto del caos, riconsegnando il mandato all’Eliseo. Il governo Lecornu, che ha esercitato le sue funzioni per 836 minuti, è l’immagine plastica del secondo mandato presidenziale di Emmanuel Macron: 5 premier in poco più di 3 anni, di cui 4 nel 2024. “Non c’erano più le condizioni”, ha ammesso Lecornu in un breve intervento a Matignon, dopo essere rientrato dall’Eliseo. E non ce n’erano per 3 ragioni, ha spiegato. La prima, i partiti “che hanno finto di non vedere il cambiamento, la profonda rottura rappresentata dal mancato utilizzo dell'articolo 49.3 della Costituzione. Vale a dire, non c'era più alcun pretesto per una censura preventiva”. La seconda, ancora i partiti. Che “continuano ad adottare un atteggiamento come se avessero tutti la maggioranza assoluta. In sostanza, mi sono trovato in una situazione in cui ero pronto a scendere a compromessi, ma ogni partito politico voleva che l'altro adottasse la sua intera piattaforma”. E’ stata una loro scelta “non arrivare a compromessi”. La terza, sempre i partiti, perché la composizione del governo “non è stata fluida e ha dato origine al risveglio di alcuni appetiti di parte, a volte non estranei, e questo è del tutto legittimo, alle imminenti elezioni presidenziali”. Con i suoi 28 giorni a Matignon (9 settembre - 6 ottobre), Sebastien Lecornu è il primo ministro plus ephemere della storia della quinta repubblica.
Pierpaolo Arzilla

