Domenica 6 luglio 2025, ore 9:51

Bilancio Ue 

Il Pse a von der Leyen: “No a progetti di centralizzazione” 

Continua il fuoco di fila contro il progetto di nuovo bilancio comunitario. E si allarga sempre di più il fronte di chi si oppone ai progetti di centralizzazione di Ursula von der Leyen. Oltre agli enti locali, agli agricoltori e agli Stati membri, a remare contro il nuovo budget settennale si sono messi anche i pesi massimi dell’Eurocamera, quelli che compongono la maggioranza europeista su cui teoricamente si regge la Commissione. Ma che, nelle ultime settimane, sta traballando a causa delle tensioni crescenti tra Socialisti e Popolari, cui si aggiungono quelle tra l’emiciclo e la timoniera del Berlaymont. Il clima politico al Parlamento europeo è sempre più teso, e a farne le spese è la tenuta della cosiddetta "maggioranza Ursula", che scricchiola sempre di più. In una lettera inviata ieri, la capogruppo socialista Iratxe García Pérez e gli eurodeputati Carla Tavares, Mohamed Chahim e Jean-Marc Germain hanno lanciato l’ennesimo altolà a Ursula von der Leyen. La partita è quella dell nuovo bilancio Ue per il periodo 2028-2034 - propriamente detto quadro finanziario pluriennale (Qfp in italiano, Mff in inglese) - che la presidente vuole rivoluzionare sul modello del Recovery fund (Rrf). La proposta formale della Commissione è in calendario per il prossimo 16 luglio, mentre i negoziati tra i colegislatori (Parlamento e Consiglio) dovrebbero iniziare dopo l’estate. I Socialisti si oppongono "con forza" all’approccio "un piano nazionale per Stato membro", uno dei pilastri principali della ristrutturazione voluta da von der Leyen per il prossimo bilancio settennale, che passerebbe da una pletora di programmi finanziati a livello europeo (attualmente oltre 530) a 27 piani nazionali. Ogni cancelleria avrebbe così il suo assegno unico, e gli esborsi dipenderebbero dal raggiungimento di obiettivi, target e milestones proprio come avviene con i Pnrr. Gli S&D non ci stanno: no alla regola "pagamenti in cambio di riforme", e nemmeno alla fusione della politica di coesione con la politica agricola comune (Pac), contro la quale si sono già scagliati gli agricoltori e un numero crescente di Stati membri. Entrambi i capitoli di spesa (che valgono ciascuno circa un terzo del bilancio Ue) devono continuare a basarsi "su un approccio dal basso verso l’alto" e non possono venire "diluiti in piani nazionali" né "soggetti a condizionalità", si legge nella missiva. Ad alimentare crescenti tensioni è il timore che l'esecutivo Ue voglia ridurre i fondi per l'agricoltura e la coesione, rivedendo al contempo il modo in cui sono strutturati, attraverso uno stanziamento unico per Paese, sul modello del Next Generation EU. Ecco allora che 14 capitali, tra cui Roma, hanno diffuso un 'non paper' in cui si alza ufficialmente lo steccato a difesa della coesione così com'è adesso. "Riteniamo che solo un budget robusto e distinto, basato su allocazioni regionali, che riflette i diversi livelli di sviluppo e che sia accompagnato da una legislazione dedicata alle politiche di Coesione può assicurare che il prossimo bilancio pluriennale porti a unità, competitività e convergenze di lungo termine tra le Regioni Ue", si legge nel documento firmato da Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Spagna, Croazia, Ungheria, Lituania, Lettonia, Polonia, Portogallo, Romania, Svezia e Slovacchia, oltre appunto dall'Italia. Varsavia ha poi rincarato la dose con un documento tutto suo, in cui delinea le priorità a suo dire ineludibili tra cui, ad esempio, salvaguardare anche la politica agricola. "La quota destinata alla politica di coesione e alla politica agricola comune nel bilancio comunitario non deve essere inferiore a quella attuale", si legge. D’altra parte dell’Oceano, dopo la notte più lunga della sua presidenza Donald Trump ottiene la vittoria più grande del suo secondo mandato: l'approvazione definitiva del 'big, beautiful biil', una delle leggi di spesa più costose della storia americana e in anche il perno attorno al quale ruota tutta l'agenda del tycoon. Un successo significativo per il presidente e lo speaker della Camera, Mike Johnson, che sono riusciti a ricompattare il Grand old party e a superare lo scetticismo dei 'falchi del fisco', quella parte di repubblicani preoccupata per l'aumento eccessivo del deficit che la legge provocherà quasi sicuramente. "Trump realizza il programma di buon senso per cui quasi 80 milioni di americani lo hanno votato: il più grande taglio delle tasse per la classe media della storia, la sicurezza delle frontiere, ingenti finanziamenti militari e il ripristino della sanità fiscale", ha commentato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt in una nota dopo che la Camera ha approvato la legge con 218 voti a favore e 214 contrari. Solo due repubblicani si sono schierati assieme ai democratici: Thomas Massie del Kentucky e Brian Fitzpatrick della Pennsylvania. In senato avevano votato contro il budget solo tre senatori Rand Paul, Thom Hillis e Susan Collins.
Rodolfo Ricci

( 4 luglio 2025 )

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