Sabato 14 giugno 2025, ore 0:43

Dibattito

La crisi della democrazia e l’avvento della tecnocrazia

Tutto cominciò nel 2011 con l’elogio del loden, l’altra faccia del bipolarismo maggioritario, e con il cucciolo Empy messo in braccio in diretta televisiva al portatore di loden amante del Mercatone Ue ed odiatore dell’“eccesso di democrazia” in Europa di cui scriveva insieme a Sylvie Goulard. Fu quello il momento in cui cominciò l’operazione simpatia dei tecnici al governo, dei SuperMario e dei partiti messi ko. Del resto, nel saggio “The Crisis of Democracy” a cura della Commissione Trilaterale veniva già scritto decenni fa quanto un eccesso di democrazia stesse paralizzando gli Usa e l’Europa, sottolineando che “il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi”, di una popolazione di dimensioni variabili che stia ai margini e che non partecipi alla politica: “E’ intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene”. Negli ultimi anni siamo stati travolti dal disorientamento dei valori e da un processo di svuotamento del ruolo decisionale delle istituzioni politiche democratiche a favore della logica di mercato e di quello che il sociologo britannico Colin Crouch ha recentemente definito “il potere dei giganti” economici sui cittadini, che in tempi di pandemia hanno espresso un sentimento di insicurezza accompagnato dalla domanda di maggiore autorità. C’è una percezione crescente della crisi delle democrazia in tutto il mondo; secondo Steven Lavitsky e Daniel Ziblatt, autori del saggio “Come muoiono le democrazie”, ciò che maggiormente stupisce è il fatto che, a differenza del passato, in cui la “morte” delle democrazie era causata da rivoluzioni o da colpi di Stato perpetrati da gruppi armati, oggi essa è invece determinata da un processo messo in atto dall’interno delle stesse istituzioni democratiche, con mezzi legali e per iniziativa di leader eletti: perdita di potere, vuoto di potere, presa di potere. L’ex premier Monti era stato molto chiaro: “E’ chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni (ndr: di sovranità) solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. Abbiamo bisogno delle crisi per fare passi avanti”. E quale crisi migliore di una pandemia? La concezione di Monti e delle élites che rappresenta è esattamente quella di The Crisis of Democracy, il primo rapporto della Commissione Trilaterale che sosteneva come le uniche democrazie funzionanti siano quelle in cui la grande maggioranza della popolazione si trova ai margini del dibattito pubblico. Letteralmente, i cittadini dovevano restare in apnea. Il Rapporto sulla governabilità delle democrazie alla Commissione trilaterale (The Crisis of Democracy: On the Governability of Democracies) é uno studio del 1975 scritto da Michel Crozier, Samuel P. Huntington e Joji Watanuki, commissionato dalla Commissione Trilaterale e pubblicato nello stesso anno come libro. L’edizione italiana fu invece curata nel 1977 e pubblicata con la prefazione di Gianni Agnelli. E questo è un fatto. Lo studio osservava la condizione politica degli Stati Uniti, dell’Europa e del Giappone, affermando che i problemi di governabilità “nascono da un eccesso di democrazia” rievocando che in realtà “già Schumpeter stabiliva che tra le condizioni per il funzionamento corretto della democrazia vi fosse l’autocontrollo democratico, cioè la rinuncia, da parte dei cittadini elettori, a tentare di influire attraverso manifestazioni, petizioni o pressioni di altro tipo, sull’operato degli eletti”. Il rapporto segnò un cambio di passo in tutto il mondo per risolvere le crisi delle democrazie con l’introduzione di tecnocrazie, non facendo mistero che “il predominio dell’esecutivo, grazie al surplus di sovranità di cui esso strutturalmente dispone grazie al potere di segretazione, sposta in suo favore quell’equilibrio che, nella forma di governo parlamentare, dovrebbe sempre sussistere tra Parlamento e Governo, e quindi tra rappresentatività e governabilità”. È stato osservato da alcuni critici che molti membri della Commissione Trilaterale ebbero successivamente ruoli di primo piano nell’amministrazione Carter, che fu fortemente influenzata da questo studio. In particolar modo Zbigniew Brzezinski ripresentò le conclusioni di The Crisis Of Democracy in articolo per il St. Petersburg Times. Noam Chomsky, dal canto suo, citò questo studio come esempio delle politiche oligarchiche e reazionarie sviluppate dal “vento liberista delle élite dello stato capitalista”. Oggi siamo oltre la Crisi della democrazia, della rappresentanza. Per il politologo Giorgio Galli, uno dei padri della scienza politica italiana dal secondo dopoguerra ad oggi, a preoccupare oggi deve essere il crescente potere decisionale delle multinazionali. In altri termini, assistiamo al trionfo di quel “capitalismo finanziario” già intravisto a inizio del ‘900 dal teorico social-democratico Rudolf Hilferding: quello che oggi chiamiamo “turbocapitalismo” (Edward Luttwak) o “capitalismo d’azzardo” (Susan Strange), che vede come protagonisti assoluti nei processi di allocazione delle risorse, materiali e immateriali, imprese, banche, società finanziarie, organizzazioni e network internazionali. In Italia - analizza Formiche.net - stiamo sperimentando, per la prima volta da quando si è radicata l’idea di democrazia, l’Epistocrazia, almeno in versione contemporanea. Le tradizionali istituzioni della Democrazia continuano ad esistere ma hanno ceduto una parte (quantitativamente) minima ma (qualitativamente) importante delle proprie funzioni ad un gruppo ristretto di competenti. Ceduta nel senso che il Parlamento ha accettato di farlo senza un preventivo dibattito. Per Galli è necessaria una “mossa dall’alto”, che ridisegni meccanismi e canali della rappresentanza democratica: estendere e potenziare il voto dei cittadini prevedendo per essi il diritto ad eleggere una parte del consiglio di amministrazione delle multinazionali, poiché è questa oggi la sede in cui si esercita in ampia misura il potere decisionale e si definiscono i grandi indirizzi delle scelte pubbliche. Se il tema di oggi è - come qualcuno scrive dopo i fatti di Roma nello scorso sabato - stroncare l’eversione e riconquistare il popolo alla democrazia, sarà bene allora comprenderne i limiti e l’interpretazione delle élites. 
Raffaella Vitulano

( 12 ottobre 2021 )

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