l mantenimento di una cultura consumistica sfigurata comporta una disuguaglianza perniciosa, un restringimento radicale della base di consumatori benestanti, una crescita necessaria del consumo ostentato e concentrazioni esasperate di ricchezza: tutti elementi necessari per mantenere apici di prosperità pretenziosa tipica dei miliardari. La partecipazione al progetto consumistico da parte di coloro il cui impoverimento cresce quotidianamente si basa quasi interamente sul debito, che avvantaggia ulteriormente la vasca degli squali dei creditori già benestanti e delle loro remore, e alimenta il disfacimento e il naufragio del precariato, ampliando e approfondendo al contempo un canyon invalicabile di disparità economica, sociale, politica e spirituale. I ricchi impiegano questo stesso precariato per proteggersi nei loro rifugi di rentiér. Una profilassi elitaria impiegata in tutto il mondo. Intorno, la diseguaglianza. Truman, Eisenhower e i loro consiglieri economici erano terrorizzati dal rischio che gli Stati Uniti ricadessero in una nuova depressione. Le due risposte furono: incoraggiare una spesa esorbitante per i consumi, e la Guerra Fredda, per mantenere elevata la spesa militare. Il termine “obsolescenza programmata” entrò in voga in quell’epoca per descrivere il modo in cui una spesa veniva generata a causa del guasto o del passaggio di moda di beni di consumo molto prima di quanto accadesse in periodi di magra. La temporizzazione del funzionamento degli elettrodomestici, ad esempio. L’economista Galbraith spiegava che avremmo potuto optare per soluzioni diverse, come la spesa per il bene pubblico, ma a quanto pare persone più influenti ebbero maggiori incentivi a scegliere le due soluzioni attuate da Truman ed Eisenhower. Lui la chiamava tirannia del consumo privato. E se la seconda guerra mondiale è stata necessaria per salvare il capitalismo e l’obsolescenza programmata è stata necessaria per mantenerlo in funzione, in questi ultimi anni abbiamo imboccato un nuovo bivio. Richard Murphy, professore emerito di Contabilità presso la Sheffield University Management School e direttore di Tax Research Llp, scrive che in quegli anni le economie avanzate erano inondate di consumi privati - automobili, gadget, pubblicità, beni di prestigio - mentre i servizi pubblici, le scuole, i trasporti e le comunità erano privi di investimenti. Galbraith definì questo squilibrio la contraddizione centrale dell’abbondanza: le società sufficientemente ricche da garantire il benessere a tutti scelgono invece di tollerare la disuguaglianza e l’abbandono. Ma se la ricchezza produce lusso privato accanto allo squallore pubblico, cosa ci racconta questo sui valori e sulla sopravvivenza della nostra società? I mercati danno priorità a ciò che gli individui con potere d’acquisto richiedono, non a ciò di cui la società ha bisogno collettivamente. Il risultato è stato un modello di crescita distorto: sobborghi sfarzosi ed elettrodomestici scintillanti accanto a servizi sottofinanziati. Oggi, lo squilibrio è ancora più grave. I miliardari costruiscono razzi privati mentre gli ospedali non possono permettersi le attrezzature di base. Gli appartamenti di lusso restano vuoti mentre il numero dei senzatetto aumenta. I mercati sfornano smartphone mentre la banda larga pubblica è in ritardo. L’avvertimento di Galbraith è diventato profezia. I mercati sottovalutano ciò che non può essere comprato e venduto. Strade pulite, comunità sicure, assistenza sanitaria universale, vita culturale: queste cose non compaiono nei bilanci delle aziende. Richiedono investimenti pubblici. Ma sotto l’influenza del dogma del mercato, ai governi è stato detto di tagliare, privatizzare ed esternalizzare. Il risultato è esattamente ciò che Galbraith aveva previsto: centri commerciali scintillanti circondati da buche; palestre private per i ricchi mentre i parchi pubblici sono in rovina; servizi sanitari di alto livello per chi paga, mentre l’assistenza di base è razionata per tutti gli altri. Lo squallore pubblico diventa lo sfondo di un’abbondanza privata. Perché questo persiste? Perché chi è ricco non ha bisogno dei servizi pubblici. Acquista assistenza sanitaria privata, istruzione privata e sicurezza privata. Per loro, i servizi pubblici non sono vitali, ma irrilevanti, persino minacciosi, poiché richiedono una tassazione. Nel frattempo, alla maggioranza viene detto che le tasse sono un furto e la spesa pubblica uno spreco. Le élite politiche, finanziate dai ricchi, rafforzano il messaggio. Il risultato è una politica che sottovaluta sistematicamente i beni collettivi, mentre elargisce sussidi al capitale privato. Se la critica di Galbraith era pertinente nel 1958, è doppiamente urgente oggi: come può sopravvivere una civiltà se permette che le sue fondamenta collettive crollino, assecondando al contempo gli infiniti capricci del consumo privato? Per rispondere alla domanda di Galbraith, dobbiamo invertire lo squilibrio da lui descritto, il che richiede di ricostruire i beni pubblici, tassare gli eccessi privati, sfidare la pubblicità, ridefinire la prosperità non in base al consumo di beni di prestigio, ma in base alla qualità della vita pubblica. L’intuizione di Galbraith era di una semplicità sconvolgente: la ricchezza privata e lo squallore pubblico sono due facce della stessa medaglia. I mercati alimentano la prima e trascurano la seconda. Se permettiamo a questo squilibrio di persistere, la società stessa diventa fragile: splendente in superficie ma marcia sottoterra. La domanda di Galbraith non riguarda solo l’economia. Riguarda il tipo di civiltà che vogliamo. Il rapporto “Corporate Underminers of Democracy 2025” analizza la crescente minaccia ai nostri diritti e alle nostre libertà rappresentata da sette aziende letali (Amazon, Meta, Palantir, Anduril, Northrop Grumman, SpaceX, Vanguard) attraverso il loro coinvolgimento nella rapida militarizzazione dell’economia globale. Arthur Neslen ha parlato con l’autore del rapporto, Todd Brogan, direttore delle campagne e dell’organizzazione della Confederazione Sindacale Internazionale (Ituc), di quella che descrive come la direzione distopica della democrazia globale: “I risultati di investire meno in sanità, istruzione e previdenza sociale, a favore della militarizzazione, sono stati un’economia in deterioramento, una democrazia in declino e un popolo soffocato dalla disinformazione, con sindacati distrutti e in frantumi. Non vedo perché qualcuno vorrebbe seguire questo schema. La corsa agli armamenti non ha generalmente prodotto alloggi, assistenza sanitaria o istruzione migliori per la classe operaia, né ha migliorato il tenore di vita della stragrande maggioranza dei lavoratori. Il rumore di sciabole e il bellicismo sono gli ultimi assi politici nella manica di una classe dirigente che ha rinunciato a cercare di migliorare la società con altri mezzi”. Trasferire ricchezza da persone della classe operaia a poche aziende di proprietà delle persone più ricche del pianeta minaccia significativamente la democrazia sul lavoro, nella società e nelle istituzioni globali. Brogan conclude: “Non vediamo ancora la volontà di abbandonare la democrazia, ma si vedono pensatori di spicco all’interno di questi movimenti, tra cui Peter Thiel di Palantir, affermare apertamente di non credere che democrazia e libertà siano compatibili e di essere un combattente per la libertà”. La sua.
Raffaella Vitulano

