E se mai c’era ancora qualche dubbio sulla necessità di una nuova mobilitazione, a sole due settimane dalla protesta del 18 settembre, ci ha pensato direttamente le premier ministre, a togliere ogni scrupolo. Venerdì scorso, in un’intervista a le Parisien, Sebastien Lecornu ha alzato il velo sulla manovra 2026, che non sarà né una “pausa” della pressione sulle classi lavoratrici, né un bilancio di “compromesso. Lecornu ha escluso che ci siano margini per abrogare la riforma delle pensioni, perché “non risolverebbe nessuno dei problemi”, ha poi respinto l’ipotesi di una tassa sui grandi patrimoni, poiché “non è la soluzione giusta”, e il ritorno dell'imposta patrimoniale ISF1, abolita da Emmanuel Macron nel 2018. Tre misure di giustizia sociale e fiscale, che sono considerate essenziali, sia dai sindacati che dalla sinistra, per sperare di trovare una via d'uscita dall'attuale pantano politico. Ma le vecchie abitudini sono dure a morire, rileva la CFDT. Nonostante la sua retorica di apertura e impegno per il dialogo sociale, osserva la Confederation, Lecornu non è riuscito a trovare un accordo con il mondo del lavoro, perché la linea dettata dall’Eliseo, evidentemente, è quella di mantenere l'attuale politica economica. “Una scelta pericolosa”, fa notare Marylise Léon, poiché se “l’immobilismo è mortale, l'ostinazione politica in un periodo di crisi democratica lo è altrettanto”. E così l’intersyndicale si è mobilitata giovedì con scioperi e manifestazioni che hanno portato in piazza 500mila persone. L’intervista del 26 settembre, in realtà non ha fatto che confermare le cattive sensazioni (“non abbiamo avuto risposte chiare”, aveva detto la segretaria generale della CFDT) ricevute 48 ore prima dai sindacati, al termine delle 3 ore di colloquio con il primo ministro. Rafforzando ulteriormente la necessità di “mantenere la pressione” sui Eliseo e Matignon, palazzi di un potere sempre più distante dalle istanze dei lavoratori. A cui però si continuano a chiedere ulteriori sacrifici. Le proposte prese in considerazione dal nuovo governo per ridurre il deficit pubblico consistono infatti, fa notare Léon, “unicamente nel chiedere ai lavoratori di impegnarsi, senza considerare la questione di un'equa distribuzione. Noi ribadiamo, invece, che tutti gli sforzi devono essere distribuiti equamente”. Lecornu ha tentato in queste ore un nuovo approccio. In una lettera inviata ai sindacati mercoledì mattina, il primo ministro ha promesso loro che nel prossimo progetto di legge per il finanziamento della previdenza sociale, manterrà alcune misure emerse dal 'conclave' sulle pensioni, “in particolare quelle relative al miglioramento delle pensioni delle donne”, che strutturalmente danno minori vantaggi. Le madri, per esempio, potevano contribuire fino a 8 trimestri per l'istruzione dei figli, almeno fino al 2023, quando l'innalzamento dell'età pensionabile da 62 a 64 anni, ha eliminato questa possibilità. In cambio dell’impegno dei sindacati a ingoiare il rospo della manovra, Lecornu è pronto a ratificare i 3 accordi nazionali raggiunti negli ultimi mesi su lavoratori senior, sviluppo del dialogo sociale e transizioni professionali, e ad aprire un nuovo confronto sul riconoscimenti dei mestieri usuranti.
Pierpaolo Arzilla