Lunedì 6 maggio 2024, ore 7:46

Intervista 

Assemblea costituente per una riforma di sistema 

Il dibattito attuale sul Pnrr ”fa riemergere l’Italia dei furbi raccontata da Prezzolini. Siamo il Paese che ha attinto di più alle risorse del Next generation Eu senza avere idee chiare su come utilizzarle; siamo il Paese che storicamente riesce meno a spendere le risorse europee di cui dispone perché abbiamo un problema di macchina pubblica che non è stato ancora affrontato”. Per invertire la direzione di marcia sono necessarie le riforme istituzionali. Non ha dubbi Andrea Cangini, attuale segretario generale della Fondazione Luigi Einaudi. Cangini, ex direttore del Resto del Carlino e del Quotidiano Nazionale, nella scorsa legislatura è stato senatore di Forza Italia, partito che lasciò il 21 luglio 2022, il giorno dopo aver votato la fiducia al Governo Draghi, unico in dissenso dal suo gruppo parlamentare. Ma ora Cangini osserva: ”Con il senno di poi gli storici racconteranno che il governo Draghi si connoterà come un'occasione persa, sia dal punto di vista delle riforme istituzionali sia della pubblica amministrazione. Draghi era nelle condizioni di de Gaulle: sistema politico e partitico annichilito, uomo forte a cui viene consegnato plebiscitariamente lo scettro del potere. Non c'erano contraltari, tutto andava nella sua direzione; la Corte costituzionale, le Regioni. Avrebbe potuto con un’alzata di sopracciglio incoraggiare il Parlamento a lavorare alle riforme consentendo al Parlamento di rilegittimarsi perché abbiamo attraversato una fase in cui i partiti hanno abdicato. Non ha avuto la sensibilità per farlo , l'Italia non avrà occasioni analoghe per riformate se stessa”.
Cangini, in molti affermano che in non c'è tempo e spazio politico per discutere in Italia di riforme istituzionali e di nuova legge elettorale in un contesto di crisi economica, guerra in Ucraina e con una emergenza sanitaria ancora non completamente alle spalle. Io vorrei porre la questione dall'altro angolo visuale: ci saranno effetti economici sulle nostre tasche se non si metterà mano a quelle riforme spesso descritte come lontane dagli interessi concreti degli italiani?
Non c'è dubbio. Uno Stato che funzioni è il primo degli interessi degli italiani, ha un impatto sull'andamento dell'economia. Una burocrazia pubblica che funziona migliora la qualità della vita del cittadino e semplifica anche l'attività delle imprese. Una giustizia che funziona consente investimenti esteri che oggi si tengono alla larga dal nostro Paese proprio a causa del malfunzionamento del nostro sistema giudiziario. Solo l'aspetto giustizia vale due punti del prodotto interno lordo.
La Fondazione Einaudi di cui lei è segretario generale ha presentato un disegno di legge costituzionale per dare vita ad un’Assemblea per la riforma della Costituzione. Ci illustra la proposta?
La storia ci ha insegnato in 40 anni che attraverso lo strumento delle commissioni, bicamerali o quello previsto dall’articolo 138, cioè il procedimento costituzionale ordinario di riforma della Costituzione, non si arriva a nulla. Al tempo stesso si parla da tempo di tutta una serie di riforme necessarie: pubblica amministrazione, fisco, giustizia, rapporto tra Stato e Regioni. Volendole affrontare seriamente tutte avrebbero bisogno di un aggancio costituzionale. In più, procedendo a macchia di leopardo, anche illudendosi di poter fare queste diverse riforme per via parlamentare, non si avrebbe una visione d'insieme. Lo Stato dovrebbe essere una sorta di orchestra, dovrebbe esserci armonia tra i suoi corpi; e una grande riforma dovrebbe presupporre un equilibrio nei vari settori dove va a incidere. Per questo a nostro avviso sarebbe opportuno eleggere una assemblea snella con 100 esperti indicati dai partiti con metodo proporzionale che nell'arco di un anno metta mano alla riforma dello Stato per renderlo finalmente efficace ed efficiente come è nel diritto dei cittadini, In base alla mostra proposta al termine dell’anno, l’Assemblea potrà approvare a maggioranza dei 2/3 il disegno di riforma. La legittimazione democratica derivante del mandato popolare e la maggioranza qualificata impongono l’esclusione del referendum confermativo.
Come valuta il Comitato di 61 esperti istituito dal Ministro Calderoli per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni?
Nel tempo abbiamo visto nascere tanti comitati e mai hanno portato a risultati concreti. Se ci fosse un minimo di capacità prospettica e di forza politica da parte dei leader di tutti i partiti, l'assemblea costituente per la riforma della seconda parte della Costituzione sarebbe davvero la soluzione migliore. E non a caso Sabino Cassese si è è speso a favore di questa ipotesi. Ma bisognerebbe spogliarsi dal proprio interesse del momento e farsi carico di un'operazione che non consentirebbe ai partiti di alzare bandierine perché a vincere sarebbero tutti.
Questo per quanto riguarda il metodo. Nel merito, come giudica il progetto di autonomia differenziata?
Mi sembra che il testo sia stato molto migliorato rispetto alle posizioni di partenza. Io non sono un entusiasta della devolution e del regionalismo spinto; e credo che nella storia degli ultimi 30 anni si sia esagerato nell'accondiscendere a questa impostazione per ragioni di convenienza politica. La riforma peggiore in questo senso, agghiacciante nel merito, fu quella fatta nel 2001 dal Governo di centrosinistra a fine legislatura, quella del Titolo V della Costituzione, approvata per un pugno di voti, in quel caso di ex leghisti nel Nord. Una riforma che ha dato adito ad un contenzioso selvaggio tra Stato e Regioni. Quello è proprio il metodo da non seguire: non si mette mano alle Istituzioni e alla Costituzione a colpi di maggioranza.
Nelle settimane scorse la ministra per le Riforme Casellati ha svolto una sorta di consultazioni con tutte le forze politiche sulle ipotesi di nuove forme di Governo. Tra presidenzialismo o semipresidenzialismo alla francese, sembra rafforzarsi l'ipotesi premierato. Quale è la strada più percorribile?
La mia personale esperienza parlamentare nella scorsa legislatura mi ha portato a cambiare molte posizioni. Tra queste c'è anche il presidenzialismo. La prima cosa che ho fatto da senatore neoeletto di Forza Italia è stato depositare in Senato un progetto di legge costituzionale per passare dal modello parlamentare al modello semipresidenziale francese. Oggi non lo ripresenterei perché mi sono chiesto: se uno dei due uomini forti della scorsa legislatura, Salvini e Conte, avessero avuto una investitura popolare diretta; e non ci fosse stato al Quirinale un Capo dello Stato terzo, a temperare gli eccessi, a smussare gli angoli, a indirizzare i passi di un Governo naif come fu il primo governo Conte, totalmente disallineato rispetto alla realtà: cosa sarebbe stato dell'Italia? In una fase molto incline alla demagogia come quella che stiamo vivendo e senza partiti strutturati, con un ceto politico il più delle volte improvvisato e comunque inadeguato, credo sia utile mantenere la garanzia della terzietà del Quirinale. Questo non vuol dire rinunciare all'elezione diretta. Si può eleggere il Primo ministro: i poteri del Primo ministro britannico non sono minori rispetto a quelli del Presidente della Repubblica francese, anzi. Ma il vero problema non è il potere del capo del Governo, quanto la tenuta della sua maggioranza e la capacità di evitare ricatti. Basterebbe approvare piccole riforme tipo la sfiducia costruttiva, il potere di nomina e di revoca dei ministri per migliorare di gran lunga la qualità e l'efficacia dei governi.
E quale legge elettorale si addice maggiormente alla realtà italiana?
A me piace il doppio turno francese perché obbliga all'equilibrio. In una fase di grande polarizzazione governi troppo radicali non governano o governano male. Il doppio turno taglia le estreme e obbliga ad una certa moderazione il sistema politico. Di sicuro bisogna trovare il modo di intervenire e la Fondazione Einaudi lo farà al più presto sull'aspetto della legge elettorale che toglie ai cittadini la possibilità di decidere da chi farsi rappresentare. Cosa inaccettabile alla quale molti si sono assuefatti.
A proposito, nel corso degli ultimi anni si registra un costante declino della partecipazione elettorale. Le riforme possono essere un antidoto o al contrario l'astensionismo può impattare sul cammino delle riforme?
Mah, le ragioni dell'astensionismo sono tante e non a caso il fenomeno riguarda un po' tutte le democrazie dei Paesi industrializzati dell'Occidente, c'è un problema epocale. La politica viene vista come strutturalmente debole e i media in questo hanno una grossa responsabilità per aver descritto soprattutto in Italia la politica come una cosa che ha a che fare quasi esclusivamente con il privilegio e il malaffare. E questo crea ovviamente un senso di nausea e allontana i cittadini dalle urne. E poi c'è il fatto che non esistono più i partiti. Altra cosa sulla quale ho cambiato idea dopo la mia esperienza parlamentare in Senato è il finanziamento pubblico ai partiti: ero favorevole all'abrogazione, mi sono reso conto che è stato un errore. Se i partiti hanno risorse si danno una struttura; se hanno una struttura è più difficile che uno un giorno si iscriva ad un partito e il giorno dopo si ritrovi Ministro.
Nel sommario delle riforme istituzionali necessarie al Paese, a suo giudizio potrebbe essere inserito anche il tema della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, come sollecitato dalla Cisl?
È uno dei tanti aspetti della Costituzione non attuati. In Germania funziona e non mi sembra affatto un cattivo modello. Tutto quello che va nella logica della responsabilizzazione della persona, del cittadino, delle categorie, dei decisori politici o amministrativi, va nella giusta direzione. Rendere corresponsabili i dipendenti delle scelte strategiche di una azienda è un passo avanti soprattutto in un Paese che tende alla irresponsabilità e alla furbizia.
Giampiero Guadagni

( 7 aprile 2023 )

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