Sabato 27 aprile 2024, ore 11:27

Libri

La partita è ancora aperta

di LELLO GURRADO

Può capitare a tutti, giocando col telecomando, di beccare prima o poi un dibattuto di natura politica. Lo stai a seguire per qualche minuto e immancabilmente la telecamera punta su uno di destra che dice: “Basta parlare di fascismo. Il fascismo è morto da ottant’anni”. Una volta lo dice Italo Bocchino, un’altra Francesco Borgonovo e poi altri ancora della stessa parrocchia.

A quel punto si apre il dibattito ed è il momento di spegnere la televisione e prendere in mano un libro. Per esempio l’ultimo di Luciano Canfora che contraddice i due nostalgici appena citati e parla del suo saggio intitolato “Il fascismo non è mai morto”. Il libro è rivolto, si legge nella quarta di copertina, a “tutti quelli che sono impegnati a convincere soprattutto sé stessi che il fascismo è finito nell’aprile 1945”.

Novantotto pagine che è obbligatorio leggere tutte di un fiato perché l’ottanta duenne professore barese ci offre un’altra lezione di storia e cultura.

Ho detto “un’altra lezione” perché Luciano Canfora è tutta la vita che insegna. Dopo essersi laureato, a 22 anni, in Storia romana presso l’università Aldo Moro di Bari ha fatto esperienza alla Normale di Pisa, specializzandosi in filologia classica. A quel punto è incominciata la sua carriera di professore universitario.

Amante della storia antica il neo filologo ha tenuto la cattedra di letteratura greca, divulgando però anche altre materie, come ad esempio la letteratura romana. In più lezioni straordinarie come l’affascinante “papirolo gia”.

Questo straordinario impegno derivava da una vita trascorsa in mezzo ai libri. I genitori di Luciano Canfora erano entrambi professori. Insegnavano al prestigioso liceo Orazio Flacco di Bari. Il padre Fabrizio era uno storico della filosofia, la madre Rosa Cifarelli insegnava latino e greco. Il figlio Luciano seguì le loro orme e presto affiancò all’in segnamento anche la scrittura. Dal 1975, quando aveva trentatré anni, ha incominciato a scrivere libri che sono immediatamente usciti dai confini italiani per approdare in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna, Olanda, Repubblica Ceca, ma anche negli Stati Uniti e in Brasile. A questo punto non poteva mancare l’impegno giornalistico. È arrivato sotto forma di collaborazione al “Corriere della Sera” e a riviste culturali di mezza Europa. Da mezzo secolo Canfora dirige la rivista “Quaderni di storia” e “Paradosis” di Dedalo editore, la collana “Historos” per Teti Editore e la rivista “La città antica” per Sellerio.

Questo ha fatto e continua a fare Luciano Canfora. Ultimamente si fa vedere spesso in televisione a parlare non soltanto di cultura, ma anche di politica. E lo fa a modo suo, ovvero a fronte alta (e stempiata). Quando , per esempio, gli è stato chiesto un parere su Giorgia Meloni, il professor Canfora ha detto, senza ricorrere ad alcun giro di parole, che, a suo parere, la presidente del consiglio è “neaonazista nell’animo”.

È passato già di un anno sa questa dichiarazione del professor Luciano Canfora e la Meloni non l’ha ancora digerita se è vero, come è vero, che di recente ha sporto denuncia contro di lui accusandolo di diffamazione. Ovviamente non sappiamo come andrà a finire questa vertenza, siamo curiosi di scoprirlo, ma comunque si concluda la diatriba giudiziaria, restiamo dell’idea che il fascismo, come scrive Luciano Canfora, non sia per niente morto e pensarlo sia un esercizio mentale soltanto consolatorio. Non lo dico soltanto con le mie parole, ma con quelle che condivido in toto del professore stesso che dice “Ciclica mente rispunta una teoria autoconsolatoria che sentenzia: il fascismo è finito in un preciso giorno di 79 anni fa. Per chi abbia familiarità con i tempi lunghi della storia, questa appare però, senza eccessivo sforzo mentale, come una sciocchezza. E basterebbe del resto la cronaca del settantennio che abbiamo alle spalle per convincersi della vacuità di una tale teoria. Lo riprova inoltre quotidianamente la cronaca, che certo non ci rallegra: tanto più che – come un secolo fa – non si tratta di una questione solo italiana… La partita, a quanto pare, è ancora aperta” Sì, professore, la partita è ancora aperta da quando il 28 luglio del 1943, mio padre e suo padre andarono in via dell’Arca, a Bari, a farsi sparare addosso dai fascisti. Colpito alla testa da due proiettili, mio padre, il maestro Giuseppe Gurrado, morì insieme ad altri venti antifascisti, ma il fascismo quel giorno maledetto purtroppo non finì. Avrebbe fatto ancora tanti danni. Perché, come ci ricorda il suo saggio, “Il fascismo non è mai morto”.

( 25 marzo 2024 )

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