Venerdì 26 aprile 2024, ore 1:59

Il Forum di Davos

Imprese e governi ricercano la fiducia dei cittadini dopo due anni di crisi

La ripresa globale è deragliata a causa del ritorno della guerra, delle epidemie e della crisi climatica. Pur concordando sull’analisi di Klaus Schwab, fondatore del World economic forum in corso a Davos, nutriamo parecchi dubbi sulla sintesi che gli oltre 50 i capi di Stato e di governo partecipanti potranno fare di fronte all’arretramento della globalizzazione. Il quadro è caotico e confuso. E contraddittorio. Più in generale, ha scritto il New York Times, molti dei princìpi di cui Davos è stato per anni il simbolo, come “globalizzazione, liberalismo, capitalismo di mercato, democrazia rappresentativa, sembrano essere sotto attacco”. Come ha notato l’Economist, inoltre, la pandemia è coincisa con una crisi gravissima della democrazia globale, con molti paesi che sono diventati autoritari e altri in cui le libertà si sono ristrette. La guerra in Ucraina ha amplificato tutti questi fenomeni e li ha resi più evidenti e complicati. Fattori che rendono il Forum di Davos in corso differente dalle edizioni degli anni passati. Lo conferma il norvegese ex primo ministro Børge Brende, oggi presidente del World Economic Forum, in un video pubblicato dall’organizzazione, che ha spiegato che è da decenni che non assistiamo a così tanti “rivolgimenti geopolitici e geoeconomici”. Si torna a Davos, dunque. Ma è la Cnbc a mettere in chiaro che “questo non vuol dire che tutti siano contenti di vedere il ritorno dell’élite politica e imprenditoriale mondiale nelle Alpi svizzere. L’evento è stato aspramente criticato negli ultimi anni per essere estraneo, inefficace e irrilevante”. 

I paradossi delle élites
Facciamo un esempio. Tre anni fa, lo storico olandese Rutger Bregman è diventato virale in un panel di Davos mentre discuteva coi miliardari di elusione fiscale. In una clip vista quasi 11 milioni di volte, Bregman ha affermato che un fallimento globale nell’affrontare efficacemente l’elusione fiscale è stata la causa principale della disuguaglianza. Ma ha chiarito il concetto in modo estremamente semplice: “Sembra di essere a una conferenza dei vigili del fuoco in cui a nessuno sia permesso parlare di acqua. Potete continuare ad invitare Bono, e poi? Questa non è scienza missilistica. Dobbiamo parlare di tasse. Questo è tutto. Tasse, tasse, tasse” ha chiesto rivolgendosi ai Paperoni. Inutile poi lamentarsi del fatto che le forze che si oppongono alla visione dell’ordine economico globale promossa dal Forum stiano guadagnando terreno. Che sia l’inizio della fine del Wef come lo conosciamo oggi? L’analisi è pubblicata sul quotidiano online del paese che ospita l’evento: Swissinfo.ch. Quest’anno l’atmosfera al Wef è ben diversa dal solito. Il presidente ucraino Volodomyr Zelensky ha tenuto un discorso virtuale e ha inviato a Davos una massiccia delegazione. “Oggi viviamo in un mondo completamente diverso” sostiene David Bach, esperto di politiche economiche della Idm Business School. Se alla nascita del Forum economico mondiale, negli anni Settanta, l’appuntamento annuale a Davos divenne uno degli unici forum capaci di combinare visioni del mondo molto diverse tra loro, con l’affermarsi del liberismo economico, il Forum è divenuto sinonimo del libero commercio e dell’efficienza finanziaria che hanno definito la globalizzazione degli anni Ottanta e Novanta. Di fronte all’aumento del divario tra ricchi e poveri, sono cresciuti rabbia e risentimento. Una volta scemato il contrappeso del World Social Forum, le cui edizioni storiche si sono tenute a Porto Alegre e a Mumbay e che tanto richiamavano folle di sindacati e ong, il Wef ha negli anni infiammato le polemiche e le proteste, cercando di riformulare la retorica capitalista per renderla più inclusiva. Lo strapotere indiscutibile delle multinazionali e delle lobbies ha poi fiaccato i governi, derubricando i cittadini a meri consumatori globali, come avevano profetizzato il politologo Samuel Huntington e la Commissione Trilaterale nel saggio La crisi della Democrazia. Daniel Warner, politologo svizzero-americano ed ex vicedirettore del Graduate Institute di Ginevra, sostiene che la sensazione diffusa sia “che a comandare sia l’élite cosmopolita, parte di Wall Street e di Hollywood. Quella a cui stiamo assistendo è una globalizzazione inversa”, spiega Warner. “La gente si sente sempre più tagliata fuori, senza alcun legame emotivo con la globalizzazione”. La geopolitica divide il mondo in blocchi commerciali sempre più definiti. Ma molti esponenti politici e leader d’impresa prendono le parti della deglobalizzazione solo perché la trovano economicamente o politicamente vantaggiosa. 


Un club esclusivo 

“Il Wef ha ancora molto da offrire, ma se si ostina a rimanere un club esclusivo per persone facoltose che la gente normale non riesce a capire e a cui anzi tende ad attribuire la colpa di tanti problemi, non farà che perdere sostegni”, commenta Gretta Fenner, direttrice del Basel Institute on Governance.
Per sensibilizzare la gente comune ai temi del Wef forse bisognerebbe parlare in termini pratici di occupazione e non solo di farmaci dotati di microchip ingeribili, annunciati dal Ceo Pfizer a Davos. Un farmaco che segnalerebbe ai sistemi informatici di essere stato assunto dal cittadino. “Imagine the compliance”, spiega Bourla: immaginate l’obbedienza, lasciando ben intendere che il suo cliente non è certo il paziente quanto lo Stato, o un’impresa. Non basterà l’eliminazione della plastica monouso o il lavoro stimolante di un gruppo di giovani changemakers chiamato Global Shapers Community a ridare ossigeno alle famiglie disoccupate e in crisi o la dignità del lavoro a chi è sfruttato.
Raffaella Vitulano

( 24 maggio 2022 )

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