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Fca, la campanella dei sindacati suona per Marchionne

di Carlo D'Onofrio

Di ritorno da New York, dove ha celebrato i settant’anni della Ferrari suonando la campanella che apre le sedute di Wall Street, Sergio Marchionne si ritrova sul tavolo il dossier degli stabilimenti italiani. Il nuovo piano industriale di Fca vedrà la luce nella prima metà del 2018, ma i sindacati premono affinché, almeno per quanto riguarda alcune delle fabbriche del gruppo, si scoprano prima le carte. Il 2018 è infatti anche il termine che Marchionne ha più volte indicato per il raggiungimento dell’obiettivo della piena occupazione. Obiettivo che, in mancanza dell’annuncio di nuovi modelli, a questo punto pare fortemente a rischio. Il che spiega l’impazienza delle sigle che hanno firmato il contratto di gruppo e tutti gli accordi sindacali conclusi con Fca dal 2010 in avanti. E spiega anche la lettera che Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Quadri hanno indirizzato ai vertici di Fca e CnhI per chiedere ”una serie di incontri urgenti”, incontri previsti peraltro proprio dal contratto. Ovviamente l’iniziativa va letta sullo sfondo delle voci circolate per tutta l’estate - voci smentite ancora negli ultimi giorni sia da John Elkann che da Marchionne - su un possibile matrimonio ”cinese” di Fiat Chrysler e sulle ipotesi, assai più concrete invece, di scorporo di alcuni marchi, primo tra tutti Magneti Marelli. Insomma, ce n’è abbastanza perché emerga la richiesta di chiarire ”fino in fondo la situazione dei due gruppi nei diversi settori in Italia e soprattutto di confrontarci sui progetti industriali in corso sia per i riflessi sul piano occupazionale che per le prospettive degli stabilimenti italiani”. In alcuni dei quali la coperta degli ammortizzatori sociali, accorciata dal Jobs Act, non potrà offrire riparo ancora per molto. A Pomigliano i contratti di solidarietà, rinnovati per un anno nel giugno scorso, scadono a settembre del 2018. A fine settembre sono stati rinnovati per altri sei mesi i contratti di solidarietà anche a Mirafiori, ma la riduzione dell’orario, a causa delle difficoltà previste sul mercato cinese (aumento delle tasse sulle importazioni), si è fatta più consistente. Intanto a Melfi si susseguono i periodi di cassa integrazione, non solo sulla linea della Punto, destinata ad uscire di produzione, ma anche su quelle della 500X e della Jeep Renegade. Sono questi gli stabilimenti, insieme a quello Maserati di Modena, sui quali si appuntano ”gli interrogativi più pressanti che chiediamo di sciogliere quanto prima”, dicono i sindacati. Che tornano infatti a chiedere ”nuovi modelli in grado di saturare l’occupazione e di dare prospettive produttive di lungo termine”. Non basta. Il chiarimento che deve venire da Marchionne è più generale, e riguarda ”l’indirizzo strategico aziendale in un momento così delicato per l’industria dell’auto e le diverse tipologie di motorizzazione”, così come ”per il mercato delle macchine agricole e per quello della difesa”. Più dura la posizione della Fiom, esterna al perimetro del contratto Fca - i metalmeccanici Cgil non lo hanno firmato, come del resto non hanno firmato nessuno degli accordi sottoscritti invece dalle altre organizzazioni dei metalmeccanici - che insieme alla Cgil ammoniscono sui rischi di ”uno spezzatino” delle attività del gruppo. In un rapporto curato dalle fondazioni Di Vittorio e Sabattini che contiene un focus su Fiat - Crhysler, Cgil e Fiom riconoscono che gli obiettivi finanziari del gruppo sono stati centrati, ma puntano il dito sui ritardi nello sviluppo delle nuove tecnologie e avvertono che lo spin off di Magneti Marelli potrebbe intaccare ”l’integrità della capacità produttiva e occupazionale” in Italia, innescando ”un ridimensionamento” che comporterebbe ”effetti sociali” gravi e danni ”molto gravi per il sistema produttivo del Paese”.

 

( 12 ottobre 2017 )

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