Giovedì 25 settembre 2025, ore 23:34

Libri

Camilleri prima di Montalbano

di MAURO CEREDA

Il 6 settembre scorso Andrea Camilleri avrebbe compiuto 100 anni. Luca Crovi, scrittore, conduttore radiofonico, redattore della Sergio Bonelli Editore (quella di Tex e Dylan Dog) ha ricostruito la sua biografia nel libro “Andrea Camilleri. La storia” (Salani). Il volume, realizzato in collaborazione con la famiglia dell’autore siciliano, è stato presentato in anteprima all’ultimo Festivaletteratura di Mantova. Dove è stata fatta questa intervista. Con Crovi, davanti a quasi mille persone, Camilleri è stato ricordato da Lella Costa e Carlo Lucarelli. E dalla nipote Silvia.

Il libro racconta il Camilleri meno noto, fermandosi prima del fenomeno Montalbano. Perché questa scelta?

L’idea era di raccontare Andrea Camilleri come persona prima che come personaggio e cercare di svelarne la personalità e come l’abilità di narratore sia stata stimolata dagli incontri unici che ha fatto nella sua vita. Volevo che i lettori scoprissero l’uomo che non era Montalbano. La sua ironia, la sua coerenza, la sua sincerità, la sua incredibile capacità di racconto e il suo poliedrico immaginario.

Come si è documentato?

Leggendo e rileggendo tutti i suoi libri autobiografici e usando tutte le monografie che erano uscite nel tempo. Ma consultando anche il Fondo Andrea Camilleri e intervistando le sue figlie.

Ci sono un Camilleri pre e uno post Montalbano. Cominciamo dall’inizio: com’era il Camilleri bambino-ragazzo? Quale era il suo contesto famigliare? Nel libro lei cita Pirandello.

Sua nonna era prima cugina di Piranello e lui lo incontrò all’età di dieci anni. Crebbe nel contesto di due famiglie la cui ricchezza era all’inizio legata alle solfatare ma che dovettero reinventare il proprio patrimonio in altro modo dopo la perdita dei propri giacimenti. Iniziò a leggere da piccolino con grande passione e voracità, supportato dalla fantasia della nonna Elvira. D’altra parte fu anche un bambino ribelle che ne combinò peggio di Bertoldo e Gianburrasca.

Durante la guerra fu chiamato nell’esercito e fece due incontri straordinari: il generale americano George S. Patton e il fotografo ungherese Robert Capa.

Passò pochi giorni come militare occupandosi di sgomberi di macerie e trasporto di feriti. Poi si diede alla macchia mentre gli alleati erano sbarcati in Sicilia. Gli incontri con Patton e Capa gli permisero di capire meglio chi fossero i liberatori dell’Italia.

Innamorato del teatro, fu preso all’Accademia di Arte Drammatica ma venne espulso: perché?

Perché durante una trasferta ad Assisi per una messa in scena venne sorpreso a letto con la fidanzata in un convento di suore. All’epoca c’era ancora un forte moralismo e quello scandalo comportò la sua espulsione.

Camilleri, prima che scrittore è stato regista di teatro, sceneggiatore, insegnante al Centro sperimentale di cinematografia. Un uomo di cultura a tutto tondo.

Si nella mia biografia ho cercato di fare emergere tutti questi percorsi che ha vissuto con successo, risultando in ognuno un pioniere e un innovatore.

Ad un certo punto partecipò ad un concorso per funzionario in Rai. L’esame andò bene ma poi si dice che non fu preso in quanto comunista. È vero?

Si. La commissione prima di assegnargli il ruolo chiamò il comando dei carabinieri di Porto Empedocle. E una volta conosciuta la sua posizione politica non lo assunse. Camilleri entrò successivamente in Rai grazie a una sostituzione di maternità alla radio.

Appunto, per anni lavorò alla radio. Con che ruolo?

Prima con ruoli redazionali, poi come regista e autore di programmi. 

Tra i vari personaggi ebbe modo di collaborare con Eduardo De Filippo.

Fu l’addetto alla produzione delle sue prime commedie adattate per la Rai. Fece di tutto per non farlo scontrare con la censura interna alla Rai e si guadagnò subito la sua fiducia perché il suocero era amico personale del grande attore napoletano e aveva spesso lavorato con lui.

In Rai lavorò alla trasposizione televisiva dei gialli di Simenon. Le indagini del commissario Maigret, interpretato da Gino Cervi, incollarono agli schermi milioni di persone fra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70. Ci sono dei “dietro le quinte” da raccontare?

Camilleri imparò da Diego Fabbri come si potevano ricostruire i romanzi di Simenon e rimontare teatralmente, letteralmente tagliando e ritagliando le pagine e montandole in maniera diversa. E scoprì che Gino Cervi odiava imparare la parte di Maigret a memoria e per questo aveva bisogno di un enorme gobbo che gli suggerisse i testi. Cervi per leggere la parte giocava sulle pause che gli permettevano il fumare la pipa. Ed era bravissimo.

Veniamo allo scrittore: prima di vedersi pubblicato il romanzo d’esordio dovette aspettare anni. Perché?

Varie vicissitudini e avvicendamenti editoriali complicarono la pubblicazione del primo romanzo. La lingua in cui era scritto fu sicuramente uno degli scogli più duri da affrontare perché risultava ostica ai suoi interlocutori. La cosa pazzesca è che poi è stata quella stessa lingua a farlo amare dai lettori.

Un incontro importante fu quello con Leonardo Sciascia: che rapporto avevano?

Erano amici e si frequentavano. Il primo incontro avvenne grazie alla Rai per un progetto che però non si realizzò. Da allora i due rimasero in contatto e Sciascia seguì in prima persona la stesura de “La strage dimenticata” dando consigli a Camilleri. Quest’ultimo gli aveva già dimostrato di saper scrivere quando aveva adattato per la televisione un racconto sciasciano come “Western di cose nostre”. Ma l’incontro che gli cambiò la vita fu con Elvira Sellerio. Che gli venne presentata proprio da Sciascia e decise di scommettere su di lui.

Non possiamo non parlare di Montalbano. Il successo travolgente arrivò nel 1994. Come nacque questo personaggio?

Dall’esigenza di scrivere una storia che sfruttasse la gabbia del giallo al meglio. Nella sua personalità sono entrati un po’ del carattere del padre Giuseppe, un po’ di quello del prozio poliziotto Carmelo e il volto del professore universitario cagliaritano Giuseppe Marci. Il cognome del commissario è ispirato allo scrittore spagnolo Manuel Vàsquez Montalbán, che lui amava molto. È anche uno dei cognomi più amati in Sicilia.

Nel 1986 Camilleri si trovò causalmente in un bar nel mezzo di un agguato fra mafiosi e ne rimase molto impressionato. Ma la mafia non è al centro dei suoi romanzi. Come mai?

Perché non voleva mitizzarla. Non voleva darle spazio. Voleva evitare gli effetti de “Il padrino” e di “Scarface”.

Camilleri ha inventato una lingua: il vigatese. Abbiamo detto che un probabile ostacolo per il lettore si è rivelato la mossa vincente: com’è stato possibile?

Suo padre prima di morire si fece raccontare la storia del primo romanzo “Il corso delle cose” e gli suggerì di scriverla così come gliela aveva raccontata a voce. Il vigatese all’inizio può sembrare ostico ma una volta che se ne si sentono il ritmo e il suono si diventa complici di Camilleri nel suo gioco.

A cosa si deve l’enorme fortuna dei suoi libri?

Anzitutto al passaparola dei lettori. Poi al fatto che il vigatese è una lingua di scambio, un gioco che stabilisce uno speciale patto fra lui e i lettori. Un’esclusività delle espressioni della lingua che è difficile trovare in altri autori.

Era soddisfatto della trasposizione televisiva dei romanzi?

Molto anche perché la seguiva in prima persona.

Lei lo ha intervistato per la prima volta nel 2003 per “Tutti i colori del giallo”, una trasmissione di Radio Due. Camilleri era già notissimo. Come andò?

Partì tutto dal suo fan club vigata.org che mi mise in contatto con lui. Ogni volta che l’ho intervistato i lettori hanno partecipato agli incontri. Quando registrammo la prima trasmissione, una andò in diretta, la seconda il giorno dopo. E alla fine della sessione Camilleri mi disse che aveva una proposta che non potevo rifiutare. Il giorno dopo Valentina Alferj, che era la sua segretaria, mi disse che Andrea ci avrebbe tenuto molto che io andassi a Berlino a rappresentarlo con i suoi editori e traduttori tedeschi. E così sotto la neve finii dodici giorni a Berlino con mia moglie e mio figlio Daniele.

Chi lo ha frequentato parla di un uomo colto, ma di grande empatia e ironia. Conferma?

Confermo. Chi lo incontrava sarebbe rimasto ore ad ascoltarlo.

La popolarità arrivò quando aveva già superato i 70 anni. Come la viveva?

Molto bene e in maniera rilassata. Questo gli permetteva di concedersi tanto al pubblico. E quando ha capito che poteva scrivere ancora a lungo non si è preclusa nessuna passione letteraria. Ha scritto gialli, romanzi storici, saggi, corsivi letterali e testi teatrali.

Che posto ha Camilleri nella letteratura italiana?

Ha ridefinito il genere del giallo mediterraneo. Ha messo al centro delle sue storie la sua Sicilia e l’ha saputa raccontare sia nei romanzi storici che nei gialli. Con oltre 40 milioni di copie di libri vendute in tutto il mondo è il più amato degli scrittori italiani contemporanei. Ha rinnovato la tradizione di Pirandello e Sciascia.

Un’ultima domanda: è vero che era devoto a San Calogero?

Certo. Fin da quando la balia lo espose al santo dal balcone il giorno della sua nascita. Per tutta la vita Camilleri ha tenuto immagini di San Calogero in tutte le case in cui ha abitato.

( 25 settembre 2025 )

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Camilleri prima di Montalbano

Luca Crovi, scrittore, conduttore radiofonico, redattore della Sergio Bonelli Editore ha ricostruito la sua biografia. Via Po lo ha intervistato

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