Addio, Stefano Benni. Un altro tassello dell’intellighenzia italiana postmoderna lascia il vuoto presto riempito da sedicenti epigoni che non hanno neppure l’alibi dell’entusiasmo rivoluzionario, perché semmai loro inneggiano allo statu quo della monnezza digitale, delle start up, dei lavori minimali e precari, insomma al mondo orribile del presente. Del quale Benni scriveva: «Se i tempi non richiedono la parte migliore di te, inventa altri tempi».
Lui ci provò, nella palude che seguì il ’68. Si chiamava riflusso ed era solamente la risciacquatura mentale di una generazione che non si accorgeva di venire manipolata da quelli che oggi si chiamano “poteri forti”. Gli slogan di strada, i sit in universitari, le odi alla libertà sessuale erano diffusi da centri occulti di resetting sociale. L’Italia della grande migrazione che spopolò le campagne, delle varie emancipazioni doveva essere scristianizzata, resa omologa all’Occidente del pieno sviluppo che covava i germi della sua attuale autodistruzione.
Benni esordì sul finire degli anni ’70 insieme a Michele Serra, Gino e Michele e altri esponenti di una satira apodittica, da cui non c’era scampo: i cattivi erano solo e soltanto “quegli altri”. La sua rubrica settimanale su “Panorama” non conosceva i limiti del buonsenso. Come quando paragonò agli americani sugli elicotteri della “guerra psicologica” di “Apocalypse Now” la lotta trionfale del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’eroe che sconfisse le Brigate Rosse e poi fu barbaramente ucciso nel 1982.
A differenza dei suoi compagni di cordata, però, Benni seppe evolvere la sua visione manichea in un flusso narrativo che oggi annovera, fra gli altri, capolavori quali “Terra!”, “Comici spaventati guerrieri” e “Margherita Dolcevita”. In più, la lunga e defatigante malattia gli aveva aggiunto una saggezza da Grande Vecchio. Lo si evince da quest’altro suo stralcio: «Impara a amare ciò che desideri ma anche ciò che gli assomiglia. Sii esigente e sii paziente. È Natale ogni mattino che vivi. Scarta con cura il pacco dei giorni. Ringrazia, ricambia, sorridi».
Benni traspose il suo carico irriverente da elzevirista in universi immaginari, nei quali i buoni e i cattivi non soggiacevano più al manicheismo postsessantottino. Valeva per lui una legge codificata dal grande Stanislaw Lem: nei territori del fantastico anche la natura è morale. Ecco perciò pararglisi la possibilità di travasare tematiche d’obbligo della sinistra, per esempio l’ecologismo, in tappe immanenti del rapporto fra umanità e realtà. La stessa che lui trasfigurava nei suoi romanzi. Questi ultimi hanno portato in superficie una caratteristica ormai perduta di Bologna: i “biazzanott”, i masticanotte, che si attardavano fino all’alba raccontando o vivendo storie trasecolate. Che Benni fosse l’ultimo di loro?