Querce, olmi, castagni e altri ancora. Paolo Grillo, professore di Storia dell’I talia medievale all’Università degli Studi di Milano, racconta l’Età di mezzo da una prospettiva diversa, quella degli alberi. Nel libro “I giganti silenziosi” (Mondadori) accompagna il lettore in un viaggio indietro nel tempo. In un’epoca in cui, a dispetto degli stereotipi, il rapporto fra uomo e ambiente era più rispettoso di oggi.
Quando si pensa alla natura nel Medioevo si tende ad immaginare un'enorme distesa di foreste impenetrabili, popolate da animali pericolosi. Lei scrive che la realtà è un po' diversa. In che senso?
Uno degli obiettivi del libro era appunto di sfatare alcuni luoghi comuni sul Medioevo, tra cui quello della preminenza della foresta, vista come una minaccia per l’uomo. Si tratta di una visione molto Ottocentesca, secondo cui la civiltà deve distruggere la natura per affermarsi. L’Alto Medioevo, in particolare, offre invece un punto di vista diverso, che ci parla di convivenza fra uomo e natura. L’uomo considera la foresta una risorsa, la addomestica ma non la distrugge.
In che modo venivano utilizzati gli alberi?
L'albero “vivo” veniva utilizzato in molti modi. Le sue foglie e le sue frasche servivano per alimentare il bestiame e come lettiera per l'inverno. Molti alberi erano invece da frutto e quindi producevano cibo per il consumo umano, pensiamo ai castagni o ai peschi. Altri, come le querce e i faggi, producevano cibo per il consumo animale: il caso tipico sono le ghiande mangiate dai maiali. E poi c'erano gli alberi morti, abbattuti: il legno era un pò la plastica del Medioevo.
Che impieghi aveva?
Molteplici. Veniva utilizzato nelle costruzioni, per arredare, per realizzare gli attrezzi da lavoro. La legna serviva a scaldare le case, a cuocere i cibi, per le preparazioni che richiedevano affumicatura o bollitura. Pensiamo alla produzione di birra nel nord Europa, ma anche al processo per ricavare il sale dall’acqua marina. Poi c’era tutta una serie di usi più più specifici, per cui servivano legni particolari. La navigazione, ad esempio.
Nel libro lei definisce le grandi imbarcazioni come “foreste galleggianti”.
Non a caso i pali che reggevano le vele si chiamavano e si chiamano ancora oggi alberi. Per costruire una grande nave serviva un’e norme quantità di legno: una galea poteva divorare fra 200 e 400 alberi. Per una flotta con una ventina o una trentina di barche bisognava sacrificarne a migliaia. A partire dal XIII secolo si intensificò la ricerca di legni come querce e larici, molto adatti alla cantieristica navale.
Dal XII secolo le case in pietra sostituirono, almeno in parte, quelle in legno. Come mai?
Anche per un motivo culturale: la pietra è considerata più prestigiosa, più nobilitante e possedere una casa in pietra è segno di benessere. Ma c’è un altro aspetto da considerare: con il ripopolarsi delle città e quindi l’infit tirsi delle abitazioni, aumenta il rischio che si sviluppino degli incendi e la pietra è più resistente alla minaccia del fuoco. Questi due elementi contribuisco a cambiare drasticamente il paesaggio urbano nell'arco di 100-200 anni.
In realtà anche nelle case in pietra si faceva un ampio uso di legna: i pavimenti, il mobilio, le porte… Lei dice che l’importanza del legno nelle costruzioni è emersa chiaramente con l’incendio della cattedrale di Notre Dame a Parigi. Perché?
Lì abbiamo visto che le travature erano in legno ed in gran parte originali. Era questo un piccolo trucco usato dagli architetti dell’epoca: le parti visibili delle chiese erano in pietra, ma poi i tetti erano sostenuti da strutture in legno, delle vere foreste di travature, che alleggerivano tutta la costruzione e permettevano anche lo slancio verticale caratteristico del gotico. Tra l’altro le travature degli edifici religiosi, grazie alle moderne tecniche di indagine introdotte dalla paleobotanica, rappresentano una fonte storica importantissima. L'incendio di Notre Dame è stato un disastro anche da questo punto di vista. Lo studio di queste centinaia di tronchi che probabilmente risalivano al X o XI secolo ci avrebbe detto tantissimo sul paesaggio della zona di Parigi nel primo Medioevo.
Leggendo il libro si capisce che la gestione dei tagli e delle piantumazioni era abbastanza regolata.
Col passare del tempo diventa necessario introdurre delle regole. A partire dall’XI e XII secolo, con la crescita della popolazione, aumentano i disboscamenti perché servono più legna e più terre da coltivare. Per evitare la scomparsa delle foreste, di cui già allora si conosceva l’importanza anche dal punto di vista geologico, per la protezione che offrivano da frane e alluvioni, vengono emanate norme sempre più rigide. Per chi le infrangeva c’erano multe ma anche pene più sbrigative, come qualche bastonatura.
C'era un gusto anche estetico per gli alberi o l’approccio era solo utilitaristico?
No c’era sicuramente anche un approccio estetico e in qualche misura sentimentale verso gli alberi, in quanto creature viventi. Abbiamo molte opere di poeti, scrittori, ma anche filosofi, che descrivono la bellezza degli alberi. Se ne ammiravano l'altezza, la maestosità, il colore. Nel pensiero monastico, ad esempio, l’albero rappresentava un modo per avvicinarsi a Dio. Alle volte semplicemente contemplandolo nel suo slancio verso il cielo, ma anche perché simboleggiava tutta una serie di virtù che il buon monaco doveva avere. Ci sono poi casi di Santi che si rifugiavano sopra o sotto gli alberi per trovare spazio per la meditazione e la preghiera.
In un capitolo lei cita l’importanza dell’olmo per le comunità locali.
Certo, gli alberi assumono un ruolo simbolico anche per il mondo laico. Moltissime comunità in tutto l’Occidente avevano un albero di riferimento, magari nella piazza principale del villaggio o della città. Sotto quell’albero ci si poteva riunire per le assemblee pubbliche, per celebrare i processi, per gli scambi commerciali. Questo fatto di rappresentare un simbolo della comunità poteva però renderli dei bersagli, perché un modo per umiliare la città nemica era proprio quello di tagliare quel certo albero. Tra i preferiti c’erano gli olmi, per la loro bellezza e maestosità, ma anche perché non producono frutti fastidiosi che ti cadono sulla testa.
Spesso si pensa che le città medievali non avessero molti alberi. E’ così?
E’ una immagine che arriva soprattutto dalle raffigurazioni dell'epoca, che raramente mostrano degli alberi. Questo perché tendono ad offrire rappresentazioni simboliche e i simboli delle città erano le fortificazioni, le case e le mura. Quindi non sono quasi mai ritratti realistici. Invece i documenti ci dicono che c'erano piazze alberate, viale alberati, alberi da frutta nei cortili delle case. Le città medievali erano molto più verdi e molto più fresche di quelle attuali.
Qual è l’albero simbolo del Medioevo?
Sicuramente la quercia, perché era onni presente, cresceva dappertutto, al nord come al sud. Veniva piantata perché le ghiande servivano all'allevamento dei maiali, ma soprattutto perché il suo legno ha delle caratteristiche eccezionali. Era utilizzato in edilizia come nella cantieristica navale. Un altro albero importante era il castagno, che era chiamato l’albero del pane. Le castagne venivano consumate in vari modi, erano apprezzate dai ricchi e dai poveri, soprattutto il “marrone”, la qualità più pregiata. E poi se ne ricavavano delle farine fondamentali per l’alimenta zione.