La critica che Adorno, Horkheimer e Marcuse muovevano alla società industriale avanzata si concentrava soprattutto sull’armamentario tecnologico, che da un lato struttura la vita quotidiana e dall’altro modella la nostra concezione del sapere. La loro preoccupazione era che la società si stesse trasformando in un organismo – anzi, in una macchina – sempre più efficiente, nella quale però non era più possibile porre la domanda sui fini che trascendono l’ordine esistente. La tecnica, infatti, tende per sua natura a ridurre ogni alterità: quella che il pensiero esprime quando pensa liberamente, quando fa filosofia, oppure quando l’individuo si abbandona al godimento estetico, che è fine a sé stesso e non risponde a un’utilità. Al contrario, la razionalità tecnica è una razionalità mezzi–scopo, orientata esclusivamente all’efficienza. Quando tutto il sapere viene giudicato a partire da quanto “serve”, quando si chiede alla filosofia a cosa serva, quando si chiede alla lettura o all’arte quale sia la loro utilità, quei campi del sapere vengono desertificati della loro potenza eversiva.

