E questo perché in un contesto politico caratterizzato da una violenta e spietata radicalizzazione del conflitto politico dove l’obiettivo finale è quello di annientare ed abbattere definitivamente e con qualsiasi mezzo il nemico politico giurato a livello nazionale, difficilmente si intravede all’orizzonte la possibilità di essere credibili come “sistema paese” sul versante, sempre più decisivo e drammatico, della politica estera. E questa palla al piede - presente anche in altri paesi europei ma più visibile e virulenta nell’attuale fase politica italiana - blocca alla sorgente l’efficacia e la necessità di manifestazioni di piazza che non possono non risentire di questo clima.
Mentre, e al contrario, sarebbe quantomai necessaria costruire una vera e propria “solidarietà nazionale”, almeno sul versante di una comune strategia di politica estera. Fieramente europeista e convinta ente occidentale. Cioè l’antico e non intercambiabile “euro atlantismo”.
Ora, e di fronte a questo scenario concreto, è perfettamente inutile immaginare o pensare il ritorno di una classe dirigente politica e di governo - almeno per il nostro paese e a breve termine - autorevole, qualificata e che soprattutto riesca ad essere punto di riferimento di quasi tutto il paese.
Penso, con un pizzico di nostalgia, al ruolo e al magistero politico e di governo declinati concretamente nel passato da quei dirigenti riconducibili all’esperienza democratico e cristiana e cattolico popolare.
Ma, per restare all’oggi, l’unica condizione possibile per ridare un ruolo politico specifico al nostro paese nello scacchiere europeo ed internazionale resta quello di sapere costruire una proposta unitaria - coerente, però, con la nostra storica e tradizionale vocazione europeista ed atlantica - e che sappia far convergere il più ampio numero possibile delle forze politiche. Un progetto che non può avere sempre e solo un retropensiero sulla politica nazionale e finalizzato alla distruzione sistematica del “nemico” irriducibile ed implacabile.
È appena sufficiente, al riguardo, rileggere i passaggi essenziali della storia democratica del nostro paese per rendersi conto che in alcuni momenti decisivi vanno deposte le armi della faziosità, dell’intolleranza, delle pregiudiziali ideologiche, dei pregiudizi personali e del settarismo politico. In tempi lontani si è usato il termine, appunto, di “solidarietà nazionale”. In tempi più recenti, invece, quello di “unità nazionale”. Qualunque sia la definizione, quello che conta è, oggi, l’assunzione di responsabilità della classe dirigente politica.
Se dovesse proseguire, invece, questo stillicidio quotidiano fatto di insulti, contumelie, aggressioni verbali e criminalizzazioni di natura politica, non lamentiamoci se poi il nostro paese è destinato a giocare un ruolo marginale, ininfluente e del tutto periferico a livello europeo ed internazionale.
Con possibili, potenziali ed inimmaginabili ricadute negative per il nostro paese. Forse, dico forse, non guasterebbe rileggere anche solo distrattamente le vicende politiche di un passato recente e meno recente per capire come comportarsi concretamente anche oggi.
Giorgio Merlo