La ricerca nasce dall'esigenza di comprendere in profondità le ragioni per cui molti giovani rinunciano o rinviano la scelta di avere figli, collocando questo tema dentro un quadro più ampio di condizione giovanile che include retribuzioni, crescita professionale, percorsi di carriera, formazione, competenze, meritocrazia, mobilità, conciliazione famiglia-lavoro, visione del futuro e consapevolezza della crisi demografica. Il cuore dell'indagine è un doppio questionario: uno rivolto ai giovani e uno rivolto alle aziende, coinvolgendo sia grandi imprese, sia piccole e medie. I giovani intervistati appartengono alle fasce 16-25 anni e 26-34 anni, con un ulteriore gruppo dedicato ai 22-25 anni, che permette di osservare le discontinuità e le continuità nel passaggio tra scuola, primo lavoro e scelte adulte. La distribuzione delle retribuzioni mostra una forte concentrazione nelle fasce più basse: tra i 16-25 anni prevalgono redditi nelle fasce 500-1.000 euro e 1.000-1.500 euro, mentre tra i 26-34 anni la maggioranza riporta valori inferiori ai 2000 euro. Tale contesto, insieme a percorsi di crescita percepiti come poco chiari, concorre a una generale sensazione di insicurezza. Uno degli indicatori più significativi è quello della stabilità percepita tra i 16-25 anni e soprattutto (il 53,6%) tra i 26-34 anni. A questo si aggiunge un dato trasversale: l'indice di fiducia nel futuro del Paese risulta molto basso, segnalando un clima di sfiducia che incide sulle scelte professionali, economiche e familiari.
Le differenze territoriali sono nette e incidono direttamente sulle condizioni di vita dei giovani. Nelle grandi città il costo della vita è indicato come uno dei principali ostacoli all'autonomia, mentre nei piccoli centri pesano la carenza di servizi e di trasporti; nel Sud si segnala inoltre la scarsità di opportunità strutturate e percorsi di carriera più lenti. In questo quadro, il reddito va sempre letto in relazione al contesto: nei piccoli comuni del Sud un reddito intorno ai 1.200 euro può risultare sufficiente grazie a costi abitativi e di trasporto più contenuti, mentre nelle grandi città, in particolare nel Nord, lo stesso reddito è spesso insufficiente. Ne deriva uno squilibrio tra opportunità e qualità della vita, che incide sulle scelte lavorative e familiari. Il tema della conciliazione tra lavoro e vita privata emerge con forza e con un evidente divario di genere: secondo il rapporto, le giovani donne incontrano maggiori difficoltà rispetto agli uomini nel bilanciare tempi di lavoro e vita personale, con ricadute dirette sulle prospettive di crescita e sulle scelte familiari. Questa difficoltà è accentuata nei territori con minori servizi o con opportunità lavorative più limitate. Il welfare aziendale assume un ruolo centrale anche dal punto di vista delle imprese. Le pmi dichiarano di offrire soprattutto strumenti essenziali: 46,2% smart working, 42,3% incentivi economici, 30,8% assistenza sanitaria integrativa e 30,8% congedi parentali ampliati. Le grandi aziende, invece, riportano politiche più strutturate, che includono servizi alla famiglia, programmi di wellbeing e percorsi formativi avanzati.
La scelta di non avere figli è influenzata da una combinazione di fattori. Per quanto riguarda i fattori economici a incidere sono in particolare redditi insufficienti, instabilità lavorativa, mancanza di conciliazione, costi dell'abitare e una generale incertezza economica. Accanto a questi compaiono ragioni personali, particolarmente rilevanti nella fascia 22-25 anni che spesso non si sente pronta o adeguatamente sostenuta. Dal punto di vista delle aziende la crisi demografica viene considerata un fenomeno che incide già oggi sulla disponibilità di giovani qualificati e che, secondo la maggior parte delle imprese coinvolte, avrà effetti significativi nei prossimi anni sul ricambio generazionale, sulla produttività e sulla competitività del sistema produttivo italiano.
Commenta il senatore Gaetano Quagliariello, presidente della Fondazione Magna Carta: ”La crisi demografica non è più soltanto una dinamica di lungo periodo, ma un fattore che già oggi dialoga con le trasformazioni economiche e sociali in atto. Affrontare la questione significa quindi dotarsi di una visione di lungo periodo, capace di integrare politiche del lavoro, welfare e sviluppo, mettendo al centro le nuove generazioni”. Da parte sua la senatrice Annamaria Parente, direttrice dell'Osservatorio sulla crisi demografica, osserva: ”I giovani chiedono stabilità, percorsi chiari, conciliazione e qualità della vita; le imprese segnalano difficoltà crescenti nel reperire competenze e nel garantire ricambio generazionale. Il dato forse più significativo è il paradosso della stabilità: anche quando il lavoro c'è, non genera sicurezza. È in questo spazio che si inserisce la crisi demografica, come esito di condizioni materiali e culturali che vanno affrontate insieme”.
Giampiero Guadagni
