Mentre i prezzi dell’oro salgono alle stelle, le aziende cinesi e occidentali lavorano fianco a fianco per sfruttare una regione devastata dalla guerra civile. E’ la denuncia di Claire Wilmot e Ashenafi Endale in un’inchiesta pubblicata dal Bureau of Investigative Journalism (Tbij), in collaborazione con il Globe and Mail: “Una minatrice sedeva per terra e faceva roteare perle di mercurio su un miscuglio di terra e oro: un metodo per estrarre il metallo dal minerale a mano. Il commercio dell’oro era una novità per lei: la sua famiglia era rimasta indigente a causa della guerra, quindi lei, come tanti altri, è stata costretta a trovare un’altra fonte di reddito. Eppure, per minatori come lei in Etiopia, l’oro è tutt’altro che redditizio. Anzi. Rischiano la salute e la sicurezza per sopravvivere con ben poco”. “Si tratta di una forza lavoro prigioniera”, spiega un ricercatore locale. Appena sotto la collina di Abrihet c’è una grande struttura metallica che setaccia il minerale e il mercurio. Il processo completo in genere estrae solo circa il 30% dell’oro presente nel minerale, quindi il deflusso che si accumula sul fondo della struttura viene poi trattato con cianuro. Questi processi presentano gravi pericoli. Il mercurio è una sostanza chimica tossica che si accumula nell’organismo e, anche in piccole quantità, può causare danni neurologici, problemi alla pelle e perdita della vista. Può essere particolarmente dannoso per i feti e i neonati. Il cianuro, invece, è un veleno che può danneggiare gravemente il cervello, il cuore e il sistema nervoso. La corsa all’oro illegale sta dilaniando l’Etiopia. L’industria mineraria illegale dell’oro è esplosa nella regione del Tigray dalla fine della guerra civile. Investitori stranieri loschi hanno unito le forze con l’esercito locale per sfruttarlo a scopo di lucro, ma l’attività mineraria non regolamentata sta rovinando il territorio, uccidendo il bestiame e avvelenando la popolazione locale. Il Bureau of Investigative Journalism rivela che per oltre un anno queste aree, note come Mato Bula e Da Tambuk, sono state entrambe sede di enormi attività minerarie illegali, parte di una corsa all’oro illegale del dopoguerra nel Tigray che ora vale miliardi, secondo i registri della Banca nazionale dell'Etiopia. Nel tipo di attività illegale osservata nel Tigray - è la denuncia dei giornalisti - l’uso di queste sostanze chimiche è molto più pericoloso che nell’attività mineraria industriale, che è soggetta a normative volte a garantire la sicurezza dei lavoratori: “Le norme sul contenimento dei deflussi, ad esempio, proteggono sia i minatori che l’ambiente circostante da gravi danni. Qui non esiste alcuna protezione di questo tipo. La crisi ecologica che attanaglia la regione è stata ampiamente documentata”. Un rapporto legale riservato, ottenuto dal Tbij, ha descritto dettagliatamente l’uso diffuso di sostanze chimiche in prossimità di fonti di acqua potabile. Una minatrice che vive nei pressi di una miniera ha mostrato dei lividi sulle mani. In un villaggio a valle due bambini sono morti per malattie attribuite al cianuro. “Senza queste sostanze chimiche, non guadagniamo abbastanza”, racconta la gente. “Ma ci stanno anche uccidendo”. Secondo un rapporto interno redatto dal Ministero Federale delle Miniere e ottenuto dal Tbij, la Banca Nazionale d’Etiopia ha acquistato poco più di 18.000 kg di oro dai minatori artigianali del Tigray nell’ultimo anno. Si tratta di una quantità quasi 30 volte superiore a quella che il Tigray avrebbe dovuto produrre legalmente nello stesso periodo. Le conclusioni sono chiare: la stragrande maggioranza dell’oro del Tigray arrivato ad Addis Abeba era di provenienza illecita. In un campo minerario vicino a Shire, una giovane donna ha raccontato ai giornalisti che il bambino di sei mesi di sua sorella era morto di recente a causa di una misteriosa malattia. Il bambino era stato sepolto senza che fosse stata stabilita una chiara causa di morte, ma lei ritiene che la causa siano state le sostanze chimiche che si sono infiltrate nell’acqua potabile. La corsa all’oro del Tigray ha riempito le tasche di pochi, ma per innumerevoli altri ha portato morte e disillusione. Decine di persone sono state uccise negli scontri nei siti minerari e un numero incalcolabile di altre subirà gli effetti a lungo termine della contaminazione del terreno. L’oro ha trasformato il panorama politico dell’Etiopia e, mentre il suo valore continua a crescere in un mondo sempre più incerto, cresceranno anche gli incentivi a espandere la produzione a tutti i costi. Sulla carta, scrive il sito, i siti sono concessi in licenza a filiali della East Africa Metals (Eam), una società mineraria canadese con profondi legami con la Cina. L’Eam ha dichiarato pubblicamente di star sviluppando miniere industriali legali qui attraverso i suoi partner commerciali e nega ogni responsabilità. Nel frattempo, sul campo, l’oro sarebbe stato estratto illegalmente da ex soldati che lavorano a fianco di minatori cinesi i cui macchinari sono pagati da loschi “investitori stranieri”, a detta di minatori ed ex funzionari della sicurezza. I siti sono sorvegliati da militari che controllano vaste reti di contrabbando, che a loro volta alimenterebbero ancora più violenza in una regione già devastata dal conflitto. Uno dei motivi per cui l’attività mineraria illegale nel Tigray è esplosa, è dovuta in parte all’aumento vertiginoso del prezzo dell’oro in tutto il mondo. Basta leggere ovunque per scoprire le impennate dei valori. Stati Uniti, Cina e altri paesi si stanno affrettando ad acquistare riserve auree. Ma l’inchiesta mette anche in discussione la rappresentazione diffusa delle aziende cinesi e occidentali come agguerrite concorrenti: nel Tigray, le due nazioni lavorano a stretto contatto. Dalla fine della guerra, grandi miniere illegali sono sorte in tutto il Tigray, alimentate da capitali stranieri e rese possibili dall’intervento di militari locali. Le sostanze chimiche utilizzate per estrarre l’oro stanno avvelenando il terreno e l’acqua locali. Gli abitanti delle zone limitrofe hanno segnalato strane patologie della pelle. I loro raccolti e i loro animali stanno morendo. I giornalisti hanno percorso centinaia di chilometri in alcuni degli angoli più remoti del Tigray, conducendo più di 200 interviste alla ricerca di risposte. Alcuni giornalisti che hanno riferito di queste vicende sono stati arrestati e minacciati di violenza. I whistleblower sono stati intimiditi, aggrediti e minacciati di morte. I locali che protestavano contro il saccheggio delle loro terre sono stati feriti o uccisi. Le loro testimonianze dipingono tuttavia il quadro più chiaro di sempre di un’industria illecita che sta rovinando il territorio, alimentando una violenza mortale e minacciando di riportare l’Etiopia in guerra. L’oro è sempre stato un bene prezioso, ma in questo momento vale più che mai.
Raffaella Vitulano

