Nano politico, gigante economico. Un tempo l'Unione Europea veniva definita così e tutto sommato le andava bene. Ora però le sfide del nostro tempo stanno erodendo la 'comfort zone' dell'Ue e persino sul fronte dei quattrini - o competitività, secondo la definizione di Bruxelles - il quadro si fa fosco. Ma per contare di più sullo scacchiere geopolitico resta il nodo delle decisioni prese all'unanimità, fardello ormai anacronistico. Ecco, all'informale di Copenaghen - in calendario per domani - i 27 ministri degli Esteri europei si confronteranno sulle varie opzioni possibili per superare la logica del veto. Ed evitare, forse, di fare la fine degli erbivori in un mondo di predatori.
"Il contesto globale in continua evoluzione e gli interessi europei in gioco ci impongono di essere in grado di agire: la nostra incapacità di raggiungere un compromesso sta minando l'importanza dell'Unione a livello globale e, in ultima analisi, la nostra stessa sicurezza", nota una fonte diplomatica a conoscenza del dossier. Il punto viene rubricato alla voce "metodi di lavoro" del Consiglio Affari Esteri in chiusura dei lavori della giornata di domani. I trattati prevederebbero già l'utilizzo della maggioranza qualificata su alcuni temi, come ad esempio l'imposizione delle sanzioni. La questione di come superare l'unanimità non è nuova ma l'intenzione è di andare oltre la fase «teorica» di arrivare a soluzioni concrete, sfruttando appunto ciò che i trattati già consentono senza doverli riformare (scenario attualmente improbabile). "Abbiamo delle proposte pronte per essere discusse con i ministri perché, ovviamente, occorrono risultati concreti", afferma un funzionario europeo.
Un gruppo di Stati membri, a quanto si apprende, è favorevole allo scatto in avanti poiché "se alcuni Paesi sono in grado di bloccare gli altri l'Europa nel lungo termine si indebolisce". La Germania, ad esempio, avrebbe preparato un suo documento - sostenuto da un certo numero di capitali - in cui delinea alcuni possibili passai avanti. Si sta ad esempio valutando la possibilità di rilasciare dichiarazioni a 26 Stati membri anziché attendere l'ok di tutti e 27, analogamente a quanto già fatto dai leader al Consiglio Europeo, in modo da essere più tempestivi. "Molto spesso arriviamo con troppo poco e troppo tardi", confida un'altra fonte. Naturalmente non è sfuggito, a Bruxelles, l'intervento di Mario Draghi a Rimini sull'Europa né, tantomeno, quello della presidente dell'Eurocamera, Roberta Metsola. Che l'Ue sia entrata in una fase di stagnazione politica, dopo lo slancio messo a segno all'indomani dell'invasione russa in Ucraina, non è un mistero. Troppe misure restano impantanate a causa dei veti incrociati. Dallo sblocco dei fondi del Fondo Europeo per la Pace, ostaggio del no di Budapest, alla difficoltà crescente a trovare la quadra sulle misure restrittive, siano esse ai danni di Mosca o di Tel Aviv.
L'Ungheria, ad esempio, continua ad opporsi alle sanzioni contro i coloni violenti in Cisgiordania, già adottate dal Regno Unito e persino dagli Usa (poi revocate da Donald Trump). Certo, la maggioranza qualificata non è una bacchetta magica. Basta vedere cosa sta accadendo su Gaza. Dato che Israele ha infranto la clausola del rispetto dei diritti umani prevista dal consiglio di associazione (così come stabilito dal rapporto stilato dalla Commissione), i 27 stanno dibattendo da mesi su che fare. Tutte le opzioni che prevedono l'unanimità - come la sospensione dell'accordo - non vengono neppure prese in considerazione dall'alto rappresentante Kaja Kallas perché sarebbero inutili. Si è scelta la strada dello stop ai fondi per le start-up previste dal programma Horizon per lanciare almeno un segnale: basterebbe la maggioranza qualificata.
Rodolfo Ricci