Lunedì 30 giugno 2025, ore 20:29

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Il tasso di occupazione femminile cresce ma resta il più basso in Europa

Nonostante la crescita registrata nel 2024, dopo un recupero post-pandemia più lento di quello maschile, il tasso di occupazione femminile resta lontanissimo dei livelli Ue. Qualcosa si muove nel nostro mercato ma permangono elementi di arretratezza. La conferma arriva dall’ultimo dal Rapporto Cnel-Istat sul tema. Lo studio evidenzia che, dal 2008 al 2024 l'incremento del tasso di occupazione delle donne è di 6,4 punti. Un dato insufficiente a recuperare il gap con la Ue e, soprattutto, disomogeneo. La crescita, infatti, è dovuta soprattutto al segmento delle ultracinquantenni. L’aumento per le over50 raggiunge i 20 punti, per le 25-34enni si ferma a 1,4 punti. Il divario con l'Europa, come detto, resta ampio: il tasso di occupazione femminile è nferiore del 12,6% alla media Ue ed è il più basso tra i 27 Paesi dell'Unione. Non solo. Il report evidenzia che, mentre tra gli uomini circa 7 occupati su 10 possono contare su un lavoro standard (dipendente a tempo indeterminato o autonomo con dipendenti), tra le donne sono in questa situazione poco più della metà delle occupate (53,9%). Quasi un quarto delle donne che lavora presenta uno o più elementi di vulnerabilità (dipendente a tempo determinato, part time involontario), contro il 13,8% gli uomini. Risultano più spesso vulnerabili le lavoratrici giovani (38,7%), residenti nel Sud (31,2%), con bassa istruzione (31,7% per le donne che hanno fino alla licenza media) e straniere (36,5%).
Per quanto riguarda il confronto con l'Europa, l'analisi evidenzia  come il gap di genere nel tasso di occupazione sia quasi il doppio della media Ue: 17,4 punti contro 9,1 punti. A questo si aggiungono le marcate disparità territoriali: mentre tutte le regioni del Nord e del Centro, tranne il Lazio, hanno raggiunto l'obiettivo del 60% previsto dalla Strategia di Lisbona 2010, nessuna regione meridionale ha raggiunto il target. 
Tra i dati positivi, il report sottolinea la diminuzione del 6%, tra il 2008 e il 2023, del numero di coppie in cui solo l'uomo lavora (dal 33,5 al 25,2%). Anche qui, tuttavia, il confronto europeo è impietoso. L’Italia si colloca al terzo posto (dopo Grecia e Romania) per diffusione del modello monoreddito maschile e comunque lontana dalla media Ue del 16,1%. Risultano invece in aumento le coppie paritarie, in cui entrambi i partner lavorano e hanno redditi da lavoro di livello simile (dal 27,8 al 29,8%). 
Le donne disoccupate sono poco meno di un milione e quelle “di lunga durata”, cioè in cerca di lavoro da un anno o più, corrispondono al 54,3%. Le inattive sono oltre 7,8 milioni e per un terzo a causa di motivazioni familiari. Quasi 600mila donne non cerca lavoro perché scoraggiata. Grazie al maggiore investimento in formazione - spiega ancora lo studio - le donne in Italia sono mediamente più istruite degli uomini: il 68% delle 25-64enni ha almeno un diploma o una qualifica, contro il 62,9% degli uomini; il 24,9% è in possesso di un titolo terziario, contro il 18,3% degli uomini. Ma questo non si traduce in un vantaggio lavorativo e permane una marcata segregazione orizzontale: circa la metà dell'occupazione femminile risulta concentrata in sole 21 professioni, mentre per gli uomini questo valore raggiunge ben 53. Anche la segregazione verticale - il cosiddetto tetto di cristallo - continua a essere una realtà, evidenzia l'analisi: in Italia le parlamentari donna sono il 33,6%; la quota di donne elette nei consigli regionali si ferma al 24,5%; solo il 28,8% delle imprese è a conduzione femminile. La quota di imprenditrici è comunque in crescita, soprattutto tra le under 35 (+2,3 punti). 

“Le donne - sottolinea a proposito la leader della Cisl Daniela Fumarola in un’intervista a “Famiglia Cristiana” - non hanno una minore preparazione e competenze rispetto ai colleghi uomini. Tutt'altro. Ma la maternità e il lavoro di cura in generale rappresentano l'ostacolo maggiore per lo sviluppo della carriera, visto che in Italia una donna su cinque abbandona il lavoro dopo il primo figlio”. 
A frenare il lavoro femminile sono carenze di welfare e servizi ma non solo. “Esistono anche dei pregiudizi sociali e culturali - spiega Fumarola - che frenano le carriere di molte lavoratrici, soprattutto a parità di anzianità e di produttività. Non è un caso che purtroppo l'Italia abbia il tasso di occupazione femminile più basso in Europa. Una donna su due non lavora nel nostro Paese”. Per favorire l'ingresso e la permanenza delle lavoratrici nel mercato del lavoro, suggerisce la segretaria generale della Cisl, vanno potenziati “i servizi per l'infanzia e gli anziani, promuovendo con incentivi la contrattazione per sostenere tutte le aziende e tutti gli enti pubblici che introducano una diversa organizzazione del lavoro”. La leader cislina propone, in quest’ottica, misure che promuovano “flessibilità nell'orario e organizzative in modo da favorire una migliore conciliazione vita-lavoro e condivisione del lavoro di cura, a partire dal lavoro agile, con l'attenzione che tali misure siano utilizzate in maniera equilibrata da lavoratori e lavoratrici”. 
“Dobbiamo sostenere la natalità - aggiunge Fumarola - che è una vera emergenza nel Paese, e nel contempo sostenere le lavoratrici madri. Resta centrale favorire l'utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri, aumentandone la quota retribuita, come la Cisl chiede da tempo”.
Ilaria Storti

( 6 marzo 2025 )

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