E di cui avremmo volentieri fatto a meno.
Abbiamo assistito, cioè, per fermarsi all’Italia, al ritorno della violenza di piazza. Perché se da un lato è sacrosanto, e lo ripeto, continuare ad applaudire la straordinaria partecipazione popolare che ha contraddistinto molte piazze italiane nelle ultime settimane, non possiamo al contempo sostenere che le devastanti violenze che sono concretamente capitate nel nostro paese sono fenomeni da nascondere il più possibile. Anche perché ci sono, purtroppo, immagini che lo ripropongono in modo cruento. E cioè, devastazioni delle città, decine e decine di lavoratori delle Forze dell’Ordine che finiscono all’ospedale per aver difeso la democrazia e la libertà di tutti i cittadini, servizi pubblici essenziali che vengono sospesi e violentemente cancellati - la libera circolazione nei porti, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nelle autostrade, nelle tangenziali, nelle città e nei paesi - e, infine ma non per ordine di importanza, la concreta possibilità di non potere muoversi liberamente durante le manifestazioni o in qualunque altro momento di aggregazione popolare per la paura che possono succedere incidenti. Ora, e senza sminuire il valore e la ricchezza delle grandi manifestazioni democratiche e popolari - lo ripeto ancora una volta a scanso di equivoci - prima o poi dovremo affrontare anche il capitolo del ritorno della dura violenza di piazza. Sono piccole minoranze del tutto estranee ed esterne rispetto alla grande e ricca partecipazione popolare? Sono minoranze violente che, come è già concretamente capitato in altre stagioni drammatiche e altrettanto devastanti del nostro Paese, possono innescare una spirale di violenza estrema che può mettere in ginocchio ed indebolire il nostro sistema democratico e costituzionale? Sono realtà politiche, e purtroppo anche con una forza militare violenta, che possono sfidare lo Stato democratico e la sua architettura istituzionale? E, infine, sono gruppi da cui occorre distanziarsi con maggior forza, determinazione e convinzione senza replicare atteggiamenti che nei decenni scorsi, e di fronte a medesimi comportamenti, si limitavano a definirli come “gruppi di facinorosi” o “piccole minoranze” che non possono affatto mettere in discussione l’ordine costituito? Ecco, è appena sufficiente porsi queste rapide e fugaci domande per arrivare ad una conclusione. E cioè, se non vogliamo che la violenza ridiventi un aspetto costitutivo e quasi normale nella nostra vita democratica abbiamo il dovere, più morale che politico, di reagire. Con le armi democratiche e liberali che possono bloccare queste violenze. E cioè, senza girarsi dall’altra parte. Senza fingere che non esiste se non in piccole minoranze che non avranno futuro, come già capitò agli inizi degli anni ‘70 nel nostro Paese. Senza circoscriverli a fenomeni passeggeri e del tutto controllabili. Occorre, semmai, rafforzare i valori e principi della nostra democrazia, della nostra Costituzione, del nostro ordinamento democratico, della civiltà democratica senza indietreggiare e senza fingere che non c’è nessun rischio e se c’è va ridimensionato e circoscritto. La democrazia, e i valori democratici, si difendono sempre e comunque ma, soprattutto, quando all’orizzonte c’è qualcuno che, di nuovo, li vuole mettere in discussione. Senza questo sforzo rischiamo, forse inconsapevolmente, di replicare tristi e drammatiche stagioni già vissute nel nostro Paese.
Giorgio Merlo