Mercoledì 30 aprile 2025, ore 21:50

Focus

Milano, una città sempre meno attrattiva

"Oggi chi fa funzionare Milano e se ne prende cura non può permettersi di vivere in città. I costi sono alle stelle, la casa è un miraggio. Bisogna intervenire, pur sapendo che nessuno ha la bacchetta magica. Serve l’impegno di tutti: sindacati, associazioni di impresa, istituzioni”. Giovanni Abimelech, segretario generale della Cisl Milano Metropoli, continua a battere su questo tasto. Non a caso ha intitolato “Milano da vivere” il Congresso che lo ha confermato alla guida di un’organizzazione che conta circa 185 mila iscritti, 4.500 delegati, 150 tra sedi e presidi distribuiti sul territorio dell’area metropolitana.

Abimelech cosa c’è che non va a Milano?
C’è che sta diventando una città sempre meno attrattiva per i lavoratori e le lavoratrici: con i livelli salariali di oggi è impossibile trovare una casa. Una ricerca del Politecnico ha rilevato che un operaio con uno stipendio di 1.360 euro al mese può permettersi di comprare un monolocale di 19 metri quadrati, mentre un impiegato che arriva a 1.836 euro può ambire ad un immobile di 25. La situazione non è migliore per gli affitti, ormai insostenibili. Sempre secondo il Politecnico un operaio può affittare un alloggio da 26 metri quadrati, un impiegato da 35.

E’ vero che anche per questo motivo le imprese faticano a reclutare personale?
Verissimo. Negli ultimi tempi i media hanno evidenziato le difficoltà che incontra l’Atm, l’azienda del trasporto pubblico, a reperire autisti. Io ho fatto il segretario generale della Fit Lombardia per tanti anni e ho iniziato la mia attività sindacale negli anni ‘90, proprio come autista di autobus. Arrivato dal sud, sono stato assunto in Atm e con lo stipendio di allora sono riuscito a comprare casa e a mettere su famiglia: qualcosa di impensabile per un giovane che viene assunto oggi. Infatti molti si licenziano dopo appena un paio di mesi.

Le difficoltà sono trasversali ai settori?
Certo, il problema riguarda anche la sanità, la scuola, il turismo, la ristorazione. Mancano infermieri, insegnanti, addetti di alberghi e ristoranti e tanti altri profili. Recentemente il Siulp ha organizzato un convegno per denunciare che anche i poliziotti scappano da Milano. Una ricerca sui nostri iscritti realizzata da BiblioLavoro, il Centro studi della Cisl regionale, ha evidenziato le sofferenze che incontra anche chi ha un lavoro o una pensione, quindi un reddito stabile.

Possiamo segnalare qualche dato?
Cito i principali: 7 intervistati su 10 risparmiano sugli alimenti o li acquistano di minore qualità; 1 su 4 ricorre a prestiti di banche o parenti per fare quadrare i conti; 1 su 3 non sarebbe capace di affrontare una spesa imprevista di 1.500 euro. Ma il dato più preoccupante è che il 27% rinuncia a curarsi. In quest’ultimo caso a incidere sono anche le carenze della sanità pubblica. In Lombardia la situazione è migliore che altrove, ma le liste di attesa per visite ed esami sono lunghe e chi non ha la possibilità economica di rivolgersi alle strutture private si trova in gravi difficoltà. Per questo abbiamo istituito undici Punti Salute in altrettante sedi sindacali sul territorio che offrono informazioni e assistenza su cosa fare per ottenere le prestazioni nei tempi corretti.

Tornando al tema della casa, durante il Congresso la Cisl ha lanciato una proposta. In cosa consiste?
Il Comune di Milano ha approvato un Piano Casa che mira a realizzare 10 mila nuovi alloggi in dieci anni, per affitti calmierati a 80 euro a metro quadrato. E’ un’iniziativa positiva, a cui guardiamo con attenzione. Ma dieci anni non sono pochi. Noi abbiamo avanzato una proposta-provocazione finalizzata a recuperare una parte considerevole dei 7.500 appartamenti vuoti e sfitti di proprietà pubblica che non vengono assegnati perché necessitano di manutenzione. Al Comune e alla Regione Lombardia questi alloggi costano circa 30 milioni di euro all’anno di spese varie, anche se restano inutilizzati. Conti alla mano crediamo che accendendo dei mutui ventennali per 12 milioni di euro all’anno se ne potrebbero recuperare e ristrutturare in tempi brevi circa 6 mila, da destinare anche ai lavoratori in lista per una casa popolare. Visto che siamo in una situazione di emergenza, per rendere le procedure più semplici la partita andrebbe affidata ad un commissario nominato ad hoc. Vogliamo aprire una discussione con tutti i soggetti coinvolti. 

Nella relazione congressuale ha richiamato alcuni passaggi del Discorso alla città che l’arcivescovo di Milano pronunciò il 6 dicembre dalla basilica di Sant’Ambrogio. Perché?
Perché è un messaggio religioso e insieme laico, che evidenzia i problemi, le fatiche e le sofferenze dei nostri tempi, ma suggerisce anche qualche via d’uscita e offre motivi di speranza. Ci trovo sempre molti spunti di riflessione. Nell’ultimo Discorso l’arcivescovo Mario Delpini, tra i vari temi, ha toccato quello del lavoro, sottolineando che “la gente lavora con passione e serietà, impegna le sue forze, le sue risorse intellettuali, le sue competenze ed è fiera del lavoro ben fatto”, ma anche che è “stanca di un lavoro che non basta per vivere, di un lavoro che impone orari e spostamenti esasperanti” e che è “stanca degli incidenti sul lavoro e di constatare che i giovani non trovano lavoro”. Ha perfettamente ragione: le persone non sono stanche per la fatica, ma sono stanche di avere un lavoro mal pagato, insicuro, precario, che non permette di vivere a Milano e di conciliare il lavoro con la vita privata.

Quello della conciliazione è un problema che si lega al cosiddetto inverno demografico. 
Certo: Milano sta invecchiando. Non si fanno più figli e c’è chi dà la colpa ai giovani, sostenendo che preferiscono divertirsi o non vogliono responsabilità. Quante volte abbiamo sentito affermazioni del genere? Posto che la scelta di diventare genitori è personale e non dovrebbe essere giudicata, la verità è che gli ostacoli sono di vario tipo. Il primo ha a che fare con il lavoro: precarietà, contratti discontinui, salari bassi, rigidità negli orari e nelle turnazioni, sono tutti elementi che non aiutano certamente a mettere su famiglia. E a farne le spese sono soprattutto le donne, a cui spesso è delegata la cura dei figli, della casa, ma anche dei famigliari anziani o fragili. Il problema è anche culturale, ma ad influire di più sono le carenze aziendali: bisogna allora insistere sulla contrattazione decentrata, per migliorare l’organizzazione del lavoro e ampliare le misure conciliative. Intanto si potrebbe agire sugli orari.

In che modo?
L’organizzazione del lavoro, in merito ai tempi, non è cambiata con il mutare del contesto sociale. Prendiamo le aziende di servizi: noi crediamo che sia possibile garantire la produttività e la qualità della prestazione ai cittadini, anche modificando i turni in base alle esigenze del personale, sperimentando nuovi modelli, magari con l’aiuto della tecnologia, a partire dall’intelligenza artificiale. Non vogliamo togliere alle imprese il potere di decidere, ma chiediamo un confronto vero e stabile su questi temi. La parola chiave è partecipazione: bisogna ascoltare la voce dei lavoratori, coinvolgerli. 

Prima si diceva dell’inverno demografico.
L’età media nell’area metropolitana milanese è prossima ai 46 anni, la composizione delle famiglie è di 2,05 persone e ogni 7 nascite si registrano dieci morti. Siamo ormai vicini ai due anziani per ogni giovane e anche nelle aziende il numero di lavoratori ultraquarantenni è maggioritario. Oggi si va in pensione intorno ai 67 anni e la soglia è destinata a crescere. Io penso che bisognerebbe aumentare la flessibilità sui tempi di lavoro nelle ultime fasi della vita professionale. Faccio una battuta: un lavoratore dovrebbe potersi godere la pensione prima di andare in pensione! In che modo? Introducendo delle modalità di lavoro part-time, a parità di salario. Lo si potrebbe fare attraverso la contrattazione collettiva, legando il parametro del tempo alla produttività. Compito dello Stato dovrebbe essere quello di garantire la contribuzione in regime di full time.

Oggi ad attenuare il crollo dei dati demografici sono i migranti. Cosa ne pensa?
Infatti e allora mi chiedo quando cominceremo ad affrontare la questione in maniera non ideologica, ma seria e pragmatica. Peraltro, al netto di ogni considerazione umanitaria, gli immigrati sono essenziali per la nostra economia. I residenti stranieri in Lombardia, secondo i dati Ismu, sono oltre 1.200.000 e circa il 40% vive, lavora, studia nel milanese. Ci sono interi settori, penso ad esempio ai servizi di cura, di assistenza familiare e sociosanitaria, al turismo, alla ristorazione, all’edilizia, alla logistica, che non starebbero in piedi senza di essi. Il fenomeno non va osteggiato, ma governato. L’Anolf di Milano ha promosso e realizzato diverse iniziative in collaborazione con le categorie della Cisl, le istituzioni e le associazioni imprenditoriali, per dare una formazione a tante persone di origine straniera, per poi inserirle nel mondo del lavoro: è da qui che parte l’integrazione. 

Il 2025 sarà un anno di grandi cambiamenti per la Cisl territoriale.
La Cisl darà addio alla sede di via Tadino 23, che fu inaugurata il 2 dicembre 1961 dall’allora arcivescovo milanese Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI. E’ un luogo che ha fatto la storia del sindacato a Milano e non solo, ma non più funzionale e adatto alle sfide che ci attendono. Entro fine anno ci trasferiremo in via Valassina 22 in un nuovo stabile che dovrà diventare un punto di riferimento anche per il territorio. Vogliamo relazionarci con il quartiere, con i cittadini, con il mondo del terzo settore e delle associazioni. Metteremo a disposizione i nostri spazi, organizzeremo e ospiteremo incontri, presentazioni di libri, spettacoli, convegni, riunioni. Apriremo le nostre porte alla città.
Mauro Cereda
 

( 10 aprile 2025 )

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