E' fondamentale impedire un delitto industriale che invece sembra si stia profilando. Il Paese non può permettersi la chiusura di questo stabilimento. Il governo brancola nella nebbia. Non abbiamo alcuna proposta chiara rispetto a un progetto di rilancio industriale. Ci preoccupa il rinvio della convocazione all’11 di novembre”. Così il segretario generale della Fim, Ferdinando Uliano, martedì sera al presidio dei lavoratori ex Ilva alla Galleria Alberto Sordi a Roma, giorno in cui doveva esserci la convocazione al Governo e poi rinviata. “Il governo - continua Uliano - si deve fare carico e diventare imprenditore di un progetto di ripartenza di un asset strategico come quello siderurgico. Abbiamo condiviso il piano che il governo ci ha prospettato ad agosto. Oggi funziona solo un altoforno e se non si interviene il rischio è che anche questo si fermi. La decarbonizzazione deve essere fatta, a questo punto, con una forte presenza dello Stato. La presidente del Consiglio deve dire qualcosa al Paese rispetto a un sistema industriale che rischia di cadere a pezzi”.
Il pressing sotto Palazzo Chigi ha ottenuto solamente un incontro con la delegazione tecnica della presidenza del Consiglio, alla presenza di Stefano Caldoro, consigliere della presidente del Consiglio per i rapporti con le parti sociali. Ma ai sindacati non basta, chiedono un confronto diretto con i ministri e chiarezza su un futuro che appare sempre più compromesso. Per Fim, Fiom, Uilm rimane grave anche la procedura di cassa integrazione per 4.500 lavoratori fatta senza un accordo sindacale. “Quella sulla cassa integrazione è una macchia che va risanata - afferma il segretario nazionale Fim con delega alla siderurgia, Valerio D’Alò, al termine dell’incontro -. È impensabile sentire che l’azienda è disponibile a trattare, le organizzazioni sindacali anche, un sottosegretario ci dà tutto il tempo per poter fare questa trattativa e, all’improvviso, ci piomba sulle spalle un mancato accordo. Abbiamo ribadito con chiarezza che conosciamo un solo piano: quello fatto dai commissari e avallato dal governo che porta alla decarbonizzazione e al riavvio degli impianti. Per come è andato il bando c’è un solo passo da compiere: per rimettere in marcia quegli impianti e renderli appetibili ci vuole un investimento che non badi solo al corrente, un forte intervento pubblico”.
Sulla stessa linea anche gli altri sindacati: “Non sono più in grado di raccontarci cosa hanno intenzione di fare - afferma il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella -. Ancora continuano a sfidarci ma noi non ci stancheremo, perché continueremo a spiegare quali sono le nostre ragioni: lavoro, rispetto dell’ambiente, transizione”. Secondo Palombella “il governo ha capito e covato anche l’idea che si possano chiudere gli stabilimenti in Italia”. La richiesta di intervento diretto dello Stato è stata evidenziata anche dal coordinatore nazionale del settore siderurgia della Fiom, Loris Scarpa, secondo cui serve trovare una soluzione anche “attraverso un impegno pubblico. Non possiamo stare ai tempi del governo e della politica”, ha detto Scarpa, lanciando l’allarme sulla condizione degli stabilimenti che ha definito “di una gravità assoluta”con “il rischio di fermata e compromissione degli impianti per carenza di risorse e manutenzione”.
Sara Martano

