I lavoratori dell’ex Ilva di Genova sono scesi in sciopero e hanno occupato lo stabilimento e la strada con mezzi di cantiere. E’ la prima risposta alla rottura del tavolo di trattativa a Palazzo Chigi nel corso della quale i sindacati di categoria Fim, Fiom, Uilm hanno dichiarato 24 ore di sciopero immediate con articolazione da decidere a livello territoriale. A Genova sono circa mille i posti a rischio e “la mobilitazione - ribadiscono i sindacati - è stata messa in atto per protestare contro il blocco degli impianti del nord e il piano che prevede l’aumento della cassa integrazione straordinaria fino a 6mila unità. Sciopero di ventiquattr’ore e assembla nello stabilimento di strada Bosco Marengo anche per i lavoratori ex Ilva di Novi Ligure (Alessandria) con un’adesione molto alta tra gli operai, secondo i sindacati. Domani assemblea a Taranto e probabile sciopero venerdì.
Il timore dei sindacati è che il piano confermato dal Governo porterà al fermo del gruppo ex Ilva. “Di fatto - spiega il segretario generale della Fim Cisl Ferdinando Uliano - va a ridimensionare le attività, perché ferma tutte le aree a freddo e questo per noi è inaccettabile”. Uliano ribadisce che il piano dell’Esecutivo “ha riflessi importanti su tutti gli stabilimenti, non solo su Taranto. Abbiamo chiesto e ribadito più volte di ritirare questa posizione, perché ci sembra che la prospettiva sia chiudere lo stabilimento per poi metterlo a disposizione di eventuali possibili o potenziali acquirenti. È inaccettabile”.
Secondo il numero uno della Fim “la cosa singolare è che il Governo ci ha informato che il piano industriale che abbiamo discusso a luglio, condiviso con i commissari, di fatto nel bando nuovo non c’è più. C’è un ridimensionamento totale e da questo punto di vista è chiaro che per noi significa aprire uno scontro. Chiediamo ai lavoratori di partecipare allo sciopero e far cambiare idea al Governo rispetto a questo atteggiamento. Non c’è nulla, neanche un disegno diverso rispetto a quello di esaminare potenziali acquirenti che di fatto oggi non ci sono”. E parlando in una conferenza stampa unitaria a Roma ha continuato: “Abbiamo condiviso un piano sull’ex Ilva che andava gestito in un arco temporale di 8 anni, un piano di transizione che teneva insieme salute e sicurezza con l’occupazione. Ora ci hanno detto che quel piano è il passato”. I sindacati tengono a sottolineare il fatto che quel piano guardava alla transizione non alla dismissione degli stabilimenti dell’ex Ilva. Ora chiedono di ritirare il nuovo piano che costituisce la condizione per arrivare al fermo degli stabilimenti dell’ex Ilva. Ma, come sottolinea Uliano “gli impianti vanno fermati il meno possibile. Ci vuole una manutenzione puntuale. Facendo un’operazione di fermo non si costituiscono le condizioni per la manutenzione degli impianti”.
Le sigle sindacali parlano di “una perdita per l’ex Ilva di 3 milioni al giorno producendo un milione di tonnellate di acciaio. Ma se ora fermeranno la verticalizzazione tra Genova e Novi, perderanno ancora di più. Noi invece pensiamo che ci sono le condizioni per produrre 6 milioni di tonnellate e quindi spingere sulla verticalizzazione, perchè a Taranto c’è l’altoforno 4, il 2 è quasi pronto e l’1 prima o poi verrà dissequestrato. Ma se questo non lo fanno, se questo nel piano del Governo non c’è, è perchè non hanno più le risorse”.
Fim Fiom Uilm chiedono alla presidente del Consiglio di assumersi la responsabilità di farsi carico di un asset così importante per il Paese e per il rilancio poichè attualmente non c’è un imprenditore privato che possa fare un’offerta. “Vorrei dire alla presidenza del Consiglio, alla presidente Giorgia Meloni - ha affermato il segretario generale della Fiom-Cgil, Michele de Palma - che siamo al tavolo per negoziare, per contrattare il processo di decarbonizzazione che garantisca il futuro della siderurgia nel nostro Paese. Non si può lasciare al disastro che in queste ore sta caratterizzando le scelte del piano presentato dal ministro Urso, chiediamo che si riapra il confronto per evitare che lo scontro di queste ore diventi ancora più duro. Noi vogliamo contrattare”.
Sara Martano

