Otto milioni di tonnellate di acciaio green da produrre in Italia ogni anno, delle quali sei a Taranto. Questo l’obiettivo del governo indicato nel piano di decarbonizzazione presentato ai sindacati in un incontro al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il piano prevede tre forni elettrici nell’acciaieria pugliese e uno a Genova più quattro impianti per la produzione del preridotto che è necessario ad alimentare i nuovi forni, da realizzare a Taranto (se accetterà di ospitare una nave rigassificatrice) o in un altro territorio del Mezzogiorno, forse Gioia Tauro. Sarà comunque necessaria una nuova gara per trovare un acquirente. Il bando attuale, giunto alla trattativa in esclusiva con gli azeri di Baku Steel, andrà aggiornato alle nuove condizioni del piano che impongono tempi più rapidi per la decarbonizzazione, tagliati da dodici a sette o otto anni. È verosimile, secondo il ministro Adolfo Urso che alla luce della programmata decarbonizzazione “si manifestino ulteriori partner internazionali”.
I sindacati però chiedono certezze. “Abbiamo ribadito alle istituzioni che senza la produzione di preridotto a Taranto viene messa in discussione la solidità futura dell’intero stabilimento e la sostenibilità occupazionale di Taranto e degli altri stabilimenti italiani- afferma Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl -. Bisogna essere consapevoli che senza la produzione dei 3 DRI di Taranto lo stabilimento rischia di non avere futuro. Scommettere sul fare o non fare il DRI significa scommettere sulla pelle delle persone”.
Il progetto include anche una centrale elettrica dedicata al funzionamento dei tre forni elettrici, che converta quella attuale, con una stima complessiva di investimenti pari a circa 2 miliardi di euro. Per garantire l’approvvigionamento energetico, è allo studio il ricorso a una nave rigassificatrice, sulla scorta del modello di Piombino. È stata esclusa l’ipotesi di posizionare la nave al largo, a causa della scarsa profondità del fondale e di altre condizioni che renderebbero impossibile la sua operatività. “Il Governo - continua Uliano - ha confermato il proprio impegno nel sostenere la gara internazionale, che andrà aggiornata entro il mese di luglio, per la cessione dello stabilimento, assicurando la fornitura del preridotto necessario agli acquirenti in qualsiasi opzione verrà percorsa ovvero con la sua produzione a Taranto o altrove”.
“Come organizzazione sindacale abbiamo ribadito la necessità di tenere insieme gli aspetti ambientali, sanitari e sociali nella soluzione della crisi dell’Ilva - ribadisce il segretario nazionale Fim Valerio D’Alò -. Abbiamo espresso forte preoccupazione per l’assenza di garanzie occupazionali all’interno del piano, sottolineando il rischio di una bomba sociale qualora non ci si prenda tutti la responsabilità di scelte coraggiose. La transizione verso il preridotto e il forno elettrico rappresenta una svolta fondamentale dal punto di vista ambientale e industriale, ma per quanto riguarda l’occupazione a seconda del Piano A o del Piano B ci sono implicazioni differenti”.
A Taranto, si contano circa 9.500 lavoratori tra occupati e personale in amministrazione straordinaria, a cui si aggiungono circa 8mila lavoratori dell’indotto: una gestione attenta della fase occupazionale sarà quindi essenziale. “Le attività legate ai nuovi impianti e il graduale riavvio delle attività di finitura di tutti i siti del gruppo ma anche degli impianti di Taranto, dovranno garantire l’impiego di tutti i lavoratori ed il loro rientro da anni di cassa integrazione- rimarcano i sindacalisti Fim -. Infine, abbiamo sottolineato che, pur apprezzando la presenza attiva dello Stato, come abbiamo sempre richiesto, sarà necessario prevedere risorse finanziarie sufficienti a garantire la continuità delle attività almeno fino alla realizzazione completa del progetto”.
Sara Martano