No ai “contratti pirata” o a certi discutibili regolamenti applicati da diverse aziende”. Così intervengono i sindacati nazionali di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil, sull’esito delle recenti inchieste su caporalato e dumping nel settore della moda di alta gamma, che hanno portato numerose note imprese, negli ultimi mesi, a essere sottoposte ad amministrazione giudiziaria.
“Alcuni grandi marchi della Moda italiana - affermano i sindacati - brillano sulle passerelle e nei risultati di bilancio, oscurando i diritti fondamentali delle lavoratrici e dei lavoratori, che li rendono grandi nel mondo. Lo sfruttamento delle persone nella filiera degli appalti e dei subappalti, che ciclicamente emerge dalle indagini della magistratura, non è più tollerabile: il contratto collettivo nazionale di lavoro deve essere applicato a ogni segmento della filiera, senza eccezioni né scorciatoie”.
Per i sindacati questo “è un sistema produttivo in cui il profitto e la minimizzazione dei costi vengono troppo spesso anteposti al rispetto della dignità del lavoro e delle regole”. Oltre all’attenzione sull’applicazione del Ccnl (che insieme ai minimi salariali di riferimento contiene norme su contratti di emersione, sicurezza, conciliazione tempi di vita e di lavoro, etc.), i sindacati chiedono di intensificare i controlli ispettivi su tutta la catena produttiva, usando indici di congruità e avendo un occhio attento soprattutto agli anelli deboli, troppo spesso ai margini della legalità. Inoltre, Filctem, Femca e Uiltec chiedono “che venga sancita la responsabilità solidale dei committenti, affinché i grandi brand non possano più voltarsi dall’altra parte, quando affiorano casi di lavoro nero, caporalato o violazioni contrattuali. In questo quadro - continuano - sarebbe importante inserire un sistema di protezione dei lavoratori sfruttati e di premialità delle imprese virtuose, insieme alla tracciabilità etica dei capi di abbigliamento, in grado di certificare l’osservanza dei diritti lungo tutto il percorso produttivo. I consumatori devono sapere non solo dove e come è stato confezionato un capo, ma anche da chi e in quali condizioni”.
Le organizzazioni sindacali confederali assicurano che sono in prima linea nel denunciare da sempre le situazioni di illegalità che intercettano, siglando localmente accordi con le Procure e le istituzioni per la presa in carico delle vittime di sfruttamento, denunciando costantemente l’errata applicazione dei Ccnl, promuovendo vertenze individuali e collettive. “Purtroppo tutto questo non basta - affermano -. Serve una presa di posizione forte del Governo e delle organizzazioni datoriali, che si traduca in strumenti concreti e vincolanti, agili, diffusi, in grado di intervenire in via preventiva sulla regolarità della committenza in tutti i passaggi della produzione”.
I sindacati fanno sapere che continueranno ad insistere negli incontri con le istituzioni, le imprese e le associazioni di categoria, in giro per l’Italia, per giungere ad una proposta stringente, che costringa il Governo a impegnarsi contro la crisi che ha colpito il settore Moda in tutto il Paese. “Il Tavolo permanente della Moda istituito presso il Mimit deve dare risposte concrete e certe - concludono - . Il Made in Italy non può essere solo eleganza, deve essere anche giustizia”.
Intanto si avvicina anche la data della convocazione del tavolo nazionale del settore prevista per il 22 luglio dove, tra le altre questioni, verranno condivisi aggiornamenti sulle misure previste dal piano Italia per la moda e analizzati gli sviluppi relativi a ulteriori dossier, tra cui l’attuazione del regime di responsabilità estesa del produttore, la proposta di una nuova norma a tutela della legalità e l’informativa sull’avvenuta estensione della cassa integrazione salariale per le imprese artigiane del comparto.
Sara Martano