Sembra davvero, per trama e luoghi, una storia uscita dalla penna di Camilleri. A Pozzallo, nel ragusano, i carabinieri hanno fermato per un semplice controllo di routine una donna di 78 anni alla guida della sua auto. Alla richiesta dei documenti da parte dei militari, la donna ha risposto di non avere con sè la patente. Dopo alcune rapide verifiche, i carabinieri hanno scoperto che la signora ha guidato per circa 60 anni senza patente, che non è mai stata fermata e che non ha mai mai avuto, per sua fortuna, alcun incidente stradale. La (presumo arzilla) anziana automobilista è stata quindi denunciata per il reato di guida senza patente e l’auto è stata sequestrata. Doverosamente, non c’è dubbio. Anche se verrebbe da proporre per questa donna una “patente ad honorem”. La meriterebbe per quei sei decenni senza macchia assicurativa alcuna; per la capacità di svicolare tra impicci e impacci burocratici (altamente infischiandosene dei processi di accorpamento tra Aci eMotorizzazione); per l’abilità nello sfuggire ad ogni tentazione tamponeggiante, proverbialmente irrinunciabile per ogni donna al volante. Mal’elogio si ferma qui, doverosamente, come la denuncia dei carabinieri. Perché quell’anziana donna non può proprio essere considerata un modello. Altrimenti anche altri, in altri contesti, potrebbero sentirsi autorizzati a guidare senza patente. Istruttori di scuola guida - potremmo chiamarli “tecnici”, nome di fantasia - abituati a dare consigli, e che una volta al volante danno solo cattivo esempio. Ad esempio: se capita loro - a differenza di quanto è accaduto per 60 anni alla donna ragusana - di essere fermati da un militare sospettoso, dichiarano l’unico documento che garantisce la loro riconoscibilità: “Lei non sa chi sono io”. No, non lo sappiamo, non l’abbiamo potuto sapere in questi ultimi anni, tra tecnici veri e finti, eletti che erano solo nominati e parlamentari pescati quasi a caso da una rete. Ci siamoun po’ scassati i cabasisi. Su quel documento tornate a metterci la faccia. Giampiero Guadagni