Martedì 3 dicembre 2024, ore 13:25

Istat 

Mezzogiorno sfocato 

Il Mezzogiorno sconta ”divari strutturali anche molto ampi”: dal Pil all’istruzione, dall’occupazione giovanile alle infrastrutture. E solo di rado ”si apprezzano processi di convergenza significativi col resto del Paese”. Differenze profonde ”anche infra-regionali” tra i territori del Sud. Lo scrive l’Istat nel un focus dedicato al Sud nel quale segnala le dieci aree chiave per ridurre il gap con il Centro-Nord. ”Da oltre un ventennio il pil pro-capite nel Mezzogiorno si aggira intorno al 55-58% del Centro-Nord: nel 2021 il pil reale è di circa 18mila euro contro i 33mila nel Centro-Nord”. Anche il livello di istruzione ”conferma una grave arretratezza” pur migliorando nelle giovani generazioni. Nel 2020 un terzo dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media. Differenze che vengono trasportate nel mondo del lavoro dove sono fortemente penalizzati i giovani meridionali. Dal 2000 in poi si registrano abbastanza stabilmente circa 3 occupati ogni 10 in meno nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Tranne rare eccezioni l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media. Ne scaturisce una ”preoccupante ripresa dell’emigrazione di massa. Nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali. Distanza anche sulla digitalizzazione: il 60% circa dei residenti ha opportunità ridotte di accesso alla Banda ultra-larga: il 17,3% vive in contesti molto distanti da questo standard contro il 4,2% del Centro-Nord. Tra le infrastrutture si segnala ”l’obsolescenza delle reti idriche” (perdite per circa la metà dell'acqua per uso civile) e la dotazione ”visibilmente inferiore” di reti per il trasporto con la densità della rete ferroviaria è nettamente più bassa, soprattutto nell'alta velocità. Divari territoriali rilevanti caratterizzano anche efficienza, appropriatezza e qualità dei servizi sanitari: la contrazione della spesa pubblica ha inciso negativamente sui livelli essenziali di assistenza, con una diffusa emigrazione sanitaria: i ricoveri extra-regionali sono il 9,6% di quelli interni contro 6,2% nel Centro-Nord.
I ritardi del Mezzogiorno, afferma l’Istat, ”stanno aumentando i rischi di un eccessivo e non reversibile impoverimento demografico”. Fra il 2011 e il 2020 si è registrato il primo calo di popolazione nella storia recente del Mezzogiorno (-642mila abitanti; +335mila nel Centro-Nord). A tendenze invariate, evidenzia l’Istituto di statistica, nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica dei 20 milioni di abitanti, con una riduzione su base decennale di circa 4 volte rispetto al Centro-Nord. La perdita di popolazione si concentra nei più giovani, cui fa da contrappunto il maggior peso della popolazione anziana. Intorno al 2035 l’età media della popolazione di Sud e Isole potrebbe superare quella del Centro-Nord, nel 2011 ancora nettamente inferiore (39 anni contro 43,2 del Centro-Nord).
Tali fenomeni inediti, se non governati con urgenza, possono far incamminare il Mezzogiorno verso un'involuzione radicale e molto problematica nella funzionalità e sostenibilità della propria struttura sociale”. Inoltre, ”si avrebbe un effetto negativo sulla capacità di creare reddito (data la contrazione di forza lavoro), un aumento dei bisogni di cura degli anziani, una contestuale riduzione della domanda di altri servizi pubblici e privati per la componente giovanile (educativi, ludico-ricreativi) e una tendenziale caduta del gettito fiscale, necessario per finanziare il welfare locale”. Di fronte a tutto questo, conclude l’Istat, ”il Pnrr è un’opportunità storica per il rilancio del Paese; lo è, al contempo, per alimentare approfondimenti e riflessioni su talune rilevanti criticità che lo caratterizzano”.
Giampiero Guadagni

( 25 gennaio 2023 )

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