Domenica 28 aprile 2024, ore 8:00

Economia 

Pnrr, dalla Corte dei conti promozione con riserva 

Lo stato di attuazione degli interventi Pnrr e Pnc esaminati nel 2023 dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato evidenzia un sostanziale raggiungimento degli obiettivi procedurali legati all'adozione dei provvedimenti amministrativi, alla pubblicazione degli avvisi, alla stipula delle convenzioni con i soggetti attuatori, all'emanazione dei decreti direttoriali e ai trasferimenti di somme a titolo di anticipazione. Ciò, a fronte di uno scostamento rilevato tra spesa attesa e spesa sostenuta che, seppur attenuatosi, è destinato a determinare uno slittamento di quella effettiva negli ultimi anni di adozione del Piano. Lo afferma la Corte dei conti nella relazione approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione, in cui la magistratura contabile sottolinea l'importanza delle modifiche apportate dal Governo sulla struttura iniziale del Pnrr (ufficializzate dalla Commissione Ue a dicembre 2023), allo scopo di superare le difficoltà legate alla realizzazione di alcune delle riforme o investimenti nella loro configurazione originaria. Questo ”comporterà certamente una revisione anche e soprattutto delle disponibilità e coperture finanziarie legate ai progetti in essere. Un problema che appare affrontato già con i provvedimenti legislativi in itinere, dei quali la magistratura contabile si riserva la valutazione”. L'importante percorso di monitoraggio sull'attuazione del Pnrr avviato dall’Esecutivo a gennaio 2023, continua la magistratura contabile, si incentra su una significativa ricerca di semplificazione dei procedimenti orientata anche a garantire la maggior coerenza possibile agli interventi di coesione territoriale che coinvolgono, in particolare, le comunità minori, caratterizzate da una maggiore fragilità amministrativa e organizzativa. Ed è proprio la capacità amministrativa, conclude la Corte, a evidenziarsi come elemento critico del Piano e della sua esecuzione, nell'ottica ulteriore di preservare la qualità degli interventi.
E l’effettivo impatto delle risorse stanziate con il Pnrr inciderà sul mercato del lavoro. Tra il 2024 e il 2028 quello italiano potrà esprimere un fabbisogno compreso tra 3,1 e 3,6 milioni di occupati, a seconda dello scenario macroeconomico considerato. È quanto emerge dal report realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro. Lo stock occupazionale 2023 potrebbe infatti crescere nel quinquennio da un minimo di 238mila unità nello scenario negativo fino a un massimo di 722mila occupati in un contesto più favorevole. In Lombardia - con un fabbisogno atteso pari a 669mila occupati nello scenario positivo - si concentrerà oltre il 18% dell'intera domanda nazionale, seguita da Lazio (356mila unità pari al 9,8%), Campania (320mila unità, 8,8%), Emilia-Romagna (306mila unità, 8,4%) e Veneto (302mila unità, 8,3%). Le necessità di sostituzione dei lavoratori in uscita dal mercato del lavoro determineranno la gran parte del fabbisogno, 2,9 milioni di unità nel quinquennio, pari ad una quota dell'80% nello scenario positivo e del 92% in quello negativo. ”La riduzione del mismatch tra domanda e offerta di lavoro rappresenta una delle priorità di politica economica da affrontare in questo momento”,, sottolinea il presidente di Unioncamere Prete. I costi derivanti dal minor valore aggiunto che sarà possibile produrre nei diversi settori economici a causa del ritardato o mancato inserimento nelle imprese dei profili professionali necessari ”stanno infatti aumentando proprio a causa del progressivo innalzamento della difficoltà di reperire personale. La stima per il 2023 del costo del mismatch è di 43,9 miliardi, cifra corrispondente a circa il 2,5% del Prodotto interno lordo italiano. Per invertire il trend, che ha tante ragioni d'essere, a cominciare dall'andamento demografico, si deve lavorare sempre di più sul fronte dell'orientamento e avvicinare i percorsi formativi alle grandi trasformazioni in atto”.
inflazione annulla la ripartenza dei redditi degli italiani, riportandoli - in termini reali - sotto i livelli pre-pandemia, con una perdita complessiva di oltre 6 miliardi di euro rispetto al 2019. Tra il 2019 ed il 2023, in valori nominali, il reddito medio delle famiglie italiane è passato da poco più di 38.300 euro a oltre 43.800 euro l'anno. Un salto di oltre 5.500 euro che, purtroppo, è solo virtuale, perché annullato di fatto dall'aumento dei prezzi: al netto dell'inflazione, infatti, nel 2023 il reddito reale medio per famiglia è ancora 254 euro (-0,7%) inferiore a quello del 2019. È quanto emerge da elaborazioni sui redditi delle famiglie e sull'occupazione effettuate da Cer e ufficio economico di Confesercenti sulla base dei dati Istat, a quattro anni dall'annuncio del lockdown. Tuttavia non tutte le famiglie sembrano uguali. Quelle con reddito da lavoro autonomo hanno potuto arginare meglio l’inflazione: il reddito medio nel 2023 supera i 43.600 euro, 1.600 euro in più rispetto al 2019. Variazione positiva anche per il reddito derivato da redditi da capitale, patrimoni, rendite finanziarie e altre fonti: + 1.178 euro rispetto a cinque anni fa.
Nello stesso periodo, il reddito medio da dipendente segna un mini-aumento di 180 euro. Calano nettamente, invece in termini reali i redditi da trasferimenti pubblici (-1.819 euro), che includono pensioni, indennità e altri sussidi. A pesare è l'adeguamento solo parziale delle pensioni al caro-vita del periodo, contestualmente al progressivo esaurimento del reddito di cittadinanza.
Le ricchezze delle famiglie variano anche a secondo della regione. Infatti il reddito reale medio cresce solo in otto regioni quasi tutte del Nord. In termini assoluti la maglia nera resta alla Calabria: il reddito medio reale delle famiglie della regione nel 2023 è di poco sotto i 29mila euro l'anno, oltre 18mila euro in meno del reddito medio reale delle famiglie di Bolzano.
Intanto la Cgia di Mestre fa sapere: finora i venti di guerra che soffiano in Medio Oriente non hanno ancora prodotto effetti particolarmente gravi per i nostri scambi commerciali. Tra i primi due mesi del 2023 e lo stesso periodo di quest'anno, il numero di navi mercantili in arrivo nei porti italiani è diminuito di 169 unità, pari a -3,6% del totale arrivi. Ma sono a rischio nel prossimo futuro le importazioni soprattutto di Lombardia e Veneto, anche se, almeno fino ad ora, le navi mercantili provenienti dal Sud Est Asiatico sono approdate quasi tutte nel Mediterraneo e successivamente nei porti italiani.
Giampiero Guadagni

( 11 marzo 2024 )

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