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Europa

Pensioni, pressing di Strasburgo: ridurre gender gap

di Pierpaolo Arzilla

Bruxelles (nostro servizio) - E’ del 40 per cento il divario pensionistico di genere nella Ue a 28, secondo Eurostat. Il picco è del 48,8 di Cipro, ma poi c’è la Germania con un gap del 46,5, seguita da Olanda (46) e Austria (41,9). I primi 3 Stati membri appena sotto la media Ue sono Lussemburgo (40), Regno Unito (39,5) e Italia (38). Il Parlamento europeo prova a dare un segnale con una risoluzione votata dalla plenaria di Strasburgo (433 voti favorevoli, 67 contrari e 175 astenuti) che tuttavia non ha la presunzione e né soprattutto la reale possibilità di dare una svolta radicale in politiche che, come ricorda la relatrice, la francese Constance Le Grip (Ppe), rimangono di responsabilità degli Stati membri. Non si tratta dunque di proporre un’armonizzazione al livello europeo, ma di “aumentare la conoscenza del problema e delle disuguaglianze che persistono”. Nel calcolo delle pensioni, dice Le Grip, “si deve includere il tempo in cui è stata messa in pausa la carriera per occuparsi dei figli”. Parlamento e Commissione, osserva, potrebbero lavorare a una strategia europea generale che incoraggi gli Stati membri ad analizzare le disuguaglianze e mettere in pratica misure per superarle. Le proposte generiche uscite dalla risoluzione sono 6: riduzione delle diseguaglianze tramite la lotta alla discriminazione e agli stereotipi che bloccano l’accesso al mondo del lavoro, in particolare con l’istruzione; incentivi offerti alle donne per lavorare più a lungo e con interruzioni di carriera più brevi; crediti pensionistici per uomini e donne come forma di indennità per la cura di bambini o familiari; miglioramento generale dell’equilibrio tra vita privata e professionale e incentivi per gli uomini ad utilizzare i congedi parentali e di paternità; accesso a strutture di assistenza locali, di qualità e accessibili anche sul piano economico, per bambini, anziani e altre persone a carico; rilevamenti statistici più accurati, con una migliore rilevazione e un miglior monitoraggio dei dati. Le donne, spiega Le Grip, “sono sovra rappresentate nei posti di lavoro scarsamente retribuiti e sotto rappresentate nelle professioni ben pagate, come per esempio i settori tecnici e tecnologici. In alcuni Paesi le donne aiutano i mariti che sono agricoltori, commercianti e artigiani, ma i loro sforzi non sono ufficialmente riconosciuti, quindi non hanno un salario a tempo pieno o un contributo alla sicurezza sociale. In questo modo si trovano di fronte a molte diseguaglianze nella loro vita che, al momento di ritirarsi dal lavoro, portano a pensioni inferiori rispetto agli uomini”. All'inizio della carriera, afferma la relatrice, le donne, dovrebbero assicurarsi di controllare che guadagnino abbastanza e che siano ben informate su come funziona il sistema pensionistico nel loro Paese. Per esempio “il lavoro part-time può sembrare attraente, ma può essere controproducente se lo fai troppo a lungo perché condurrà a una pensione più bassa”. Al punto 5 della risoluzione, i deputati europei riconoscono “il ruolo importante svolto dalle parti sociali nel discutere le questioni relative al salario minimo, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà”, e in particolare il ruolo dei sindacati e degli accordi di contrattazione collettiva “per assicurare che le persone anziane possano accedere a pensioni pubbliche in linea con i principi della solidarietà fra generazioni e dell'uguaglianza di genere”. Nel testo, si esprime “profonda preoccupazione per l'impatto delle raccomandazioni specifiche per Paese ispirate a criteri di austerità sui regimi pensionistici, sulla loro sostenibilità nonché sull'accesso alle pensioni contributive in un numero sempre maggiore di Stati membri, come pure per le ripercussioni negative di tali raccomandazioni sui livelli di reddito e sui trasferimenti sociali necessari a eliminare la povertà e l'esclusione sociale” e sottolinea che il principio di sussidiarietà “deve essere applicato rigorosamente anche nell'ambito delle pensioni”. Oltre a rispettare e a far rispettare la legislazione sui diritti di maternità, “affinché le donne non siano svantaggiate in termini pensionistici per il fatto di essere diventate madri durante la vita lavorativa”, gli Stati membri, sostiene Strasburgo, devono valutare la possibilità per i dipendenti di negoziare accordi volontari di flessibilità lavorativa, incluso il lavoro cosiddetto “agile” (o smart working), in linea con le prassi nazionali e indipendentemente dall'età dei figli o dalla situazione familiare, consentendo così a donne e uomini di conciliare meglio la vita famigliare e quella professionale, in modo che non siano costretti a privilegiare l'una rispetto all’altra nel momento in cui assumono responsabilità di assistenza. Il Parlamento Ue invita la Commissione e gli Stati membri “a vagliare ulteriormente l'impatto potenziale sul divario pensionistico che potrebbe avere un'evoluzione dalle pensioni statali obbligatorie verso meccanismi più flessibili nell'ambito di regimi professionali e privati per quanto riguarda i contributi pensionistici, sia in termini di calcolo del periodo di contribuzione al sistema pensionistico che di uscita progressiva dal mercato del lavoro”. Viene poi richiamata l'attenzione “sui rischi per la parità di genere rappresentati dal passaggio dalle pensioni di sicurezza sociale ai regimi pensionistici a capitalizzazione personale, poiché questi ultimi si basano su contributi individuali e non coprono il tempo consacrato all'assistenza ai bambini e ad altri familiari a carico o i periodi di disoccupazione, i congedi per malattia o la disabilità”. Le riforme dei sistemi pensionistici che vincolano le prestazioni sociali alla crescita e alla situazione dei mercati del lavoro e finanziari “si concentrano solo su aspetti macroeconomici e trascurano lo scopo sociale delle pensioni”. La risoluzione chiede un riesame complessivo degli incentivi previsti dai regimi fiscali e pensionistici e delle relative ripercussioni sul divario pensionistico di genere, “con un’attenzione particolare per le famiglie monoparentali il cui capofamiglia è una donna”, e sollecita l'abolizione degli incentivi controproducenti e l'individualizzazione dei diritti. Nel provvedimento si evidenzia “l'importante ruolo svolto dalle pensioni di reversibilità nel tutelare molte donne anziane dal rischio più elevato di povertà ed esclusione sociale con cui si confrontano rispetto agli uomini anziani”. Gli Stati membri devono riformare, dove necessario, i sistemi pensionistici di reversibilità e le pensioni di vedovanza al fine di non penalizzare le donne non sposate, e devono inoltre studiare, con il sostegno della Commissione, “gli effetti dei vari sistemi che prevedono pensioni di reversibilità alla luce delle elevate percentuali di divorzi, dell'incidenza della povertà tra le coppie non sposate e dell'esclusione sociale delle donne anziane, e a valutare la possibilità di predisporre strumenti giuridici volti a garantire la ripartizione dei diritti pensionistici in caso di divorzio”. Le donne hanno una carriera in media più breve di oltre 10 anni rispetto agli uomini. Quelle con una carriera minore di 14 anni sono soggette a un divario pensionistico due volte maggiore (64 per cento) rispetto a quello cui sono soggette le donne con una carriera più lunga (32).

( 16 giugno 2017 )

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