Giovedì 16 maggio 2024, ore 20:06

La legge di Bilancio

Industria 4.0, ora tocca alla formazione

Non c’è solo la decontribuzione per i giovani neoassunti tra le misure job friendly che il governo sta testando in vista della legge di Bilancio. Martedì al tavolo con i sindacati si è discusso molto di formazione e politiche attive e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, non a caso affiancato dal consigliere economico di Palazzo Chigi Marco Leonardi e dal presidente dell’Anpal Maurizio Del Conte, ha sondato Cgil Cisl e Uil sull’in - troduzione di un incentivo fiscale a favore delle imprese che investiranno sul Lavoro 4.0. Di che cosa si tratta? L’idea è di concedere un credito d’impo - sta del 50% (con un tetto d 20 milioni) per le spese legate alla digitalizzazione dei processi produttivi. Ad essere coinvolte sarebbero anche le Pmi che fino a questo momento non hanno intrapreso investimenti sulle tecnologie di Industria 4.0 - e sono tante, specie al Sud - ma che nel frattempo potrebbero trovare comunque conveniente puntare su un upskilling dei propri lavoratori. L’idea che l’occupabilità sia un valore e che vada promossa affiora del resto anche nelle altre misure del ”pacchetto lavoro”: l’anticipo, in caso di crisi aziendale, al primo giorno di cassa integrazione dei percorsi di formazione; la messa a regime dell’assegno di ricollocazione, che da ottobre sarà esteso ad una platea di 4/500mila disoccupati. Il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda ha spiegato a più riprese che la formazione rappresenta la terza gamba di una strategia che mira a portare l’Italia allo stesso livello dei paesi che su Industria 4.0 si sono mossi per primi. La prima è costituita dal pacchetto di incentivi (superammortamento, iperammortamento, Sabatini ter) varati con l’ultima legge di stabilità, che stanno dando i primi risultati, come dimostra la ripresa degli investimenti privati nel secondo trimestre dell’anno. Ora si tratta di capire come il governo ne rimodulerà la forma, visto che è da escludere la loro trasformazione in tagli fiscali permanenti. La seconda è quella delle competenze, che dovrebbero essere garantite dalla cooperazione tra università ed imprese attraverso i Competence center, la versione italiana del Fraunhofer Institute, cuore pulsante della ricerca applicata tedesca. Un cantiere ancora aperto, quest’ultimo, sul quale un giudizio è prematuro. Ma che sarà comunque al centro, insieme agli altri due, dell’incontro pubblico di verifica sull’andamento complessivo del piano che Calenda ha messo in agenda per la metà del mese. Alle prossime mosse del governo guardano con interesse anche i fondi interprofessionali. La formazione è il loro core businees, ragion per cui una misura come il credito d’imposta, potenzialmente in grado di allargare l’offerta, rischia di essere avvertita come una minaccia. Ma non è così, spiega il presidente di Fondimpresa Bruno Scuotto: ”Negli anni i fondi sono riusciti ad accrescere la qualità della formazione che finanziano ed a promuovere una maggiore qualificazione dell’offerta. Certo, non possiamo nasconderci che con un’iniziativa del genere qualche rischio si corre”. Sulla carta quello dei fondi e quello dei corsi finanziati attraverso la leva fiscale sono binari destinati a non incontrarsi. E secondo Scuotto è meglio così: ”Non sia mai che qualcuno pensi ad attingere alla quota di risorse che le imprese versano ai fondi per la formazione dei lavoratori, non è il caso di creare commistioni”. Ad ogni modo, aggiunge, non c’è ”da parte nostra alcun timore di perdere centralità, ma è evidente che occorrerà attenzione sulle modalità con cui verrà erogata questa formazione aggiuntiva: c’è il rischio in effetti che gli interessi di chi offre il servizio possano prevalere su quelli di chi lo domanda. Ma, ripeto, i fondi interprofessionali restano un punto di riferimento, come dimostra il dibattito in corso sulle politiche attive”. Più in generale, però, il fatto che il discorso sull’innovazione abbracci finalmente le competenze dei lavoratori ”è un fatto positivo - dice Scuotto - perché in Italia c’è un oggettivo ritardo nella diffusione di una matura cultura formativa”. Questione di cultura, prima ancora che di risorse, è anche quella delle Pmi e delle loro difficoltà a tenere il passo dell’innovazione tecnologica. Ma su questo Scuotto, in controtendenza rispetto all’opinio - ne comune, è ottimista: ”Non dobbiamo lasciarci attrarre dalle etichette. E se identifichiamo Industria 4.0 con l’acquisto di qualche nuovo macchinario in grado da solo di fare miracoli non c’è dubbio che riduciamo un fenomeno complesso ad un’etichetta. Ciò che conta davvero è innovare i processi ancor prima dei prodotti, cosa per la quale è fondamentale una concezione innovativa dell’impresa. Ecco, credo che i nostri piccoli imprenditori siano pronti, se aiutati da un’opportuna offerta formativa, a fare questo salto”.

Carlo D’Onofrio

( 7 settembre 2017 )

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