In una intervista la segretaria generale della Cisl Fumarola ribadisce: ”Noi rispettiamo le decisioni degli altri sindacati. Ma l'uso compulsivo dello sciopero generale rischia di svilire questo strumento di ultima istanza nelle relazioni sociali e industriali, facendolo diventare altro, qualcosa di slegato da proposte, obiettivi concreti, e da risultati tangibili per milioni di persone che il sindacato rappresenta. Non e' la strada che un sindacato pragmatico, riformista e partecipativo come la Cisl può praticare”. Aggiunge Fumarola: ”Non voglio dispensare consigli a Landini. Mi limito a dire che costruire un fronte unitario con alcune sigle sindacali che fanno dell’antagonismo estremo la loro ragion d'essere, rischia di far perdere ruolo e rappresentanza alla tradizione del sindacato confederale italiano. Un andamento a che può innescare ulteriori derive estremistiche, al di lá ovviamente delle intenzioni degli organizzatori. Dobbiamo disarmare le parole”.
La Cisl da giorni promuove una raccolta fondi per sostenere, attraverso la Croce Rossa, gli interventi umanitari a favore delle donne, degli uomini e dei bambini di Gaza, travolti da una crisi senza precedenti.
Sulla missione di Flotilla, la leader della Cisl sottolinea che sarebbe stato meglio assecondare le parole del capo dello Stato Mattarella: ”Apprezziamo la volontà di tanti giovani di voler fermare la guerra, e anche il valore simbolico e mediatico di una spedizione che però, con tutta evidenza, non poteva avere grandi ambizioni sotto il profilo del sostegno concreto alla popolazione. Ora però bisogna accelerare sul piano politico, con un'azione che veda la comunità internazionale protagonista di una pace concreta, duratura, che guardi all'obiettivo di due stati liberi e democratici”.
Da parte del numero del sindacato di Via Po ”ferma condanna per il blocco delle imbarcazioni della Sumud Flottilla da parte delle autorità israeliane, un atto che si pone contro il diritto internazionale. La priorità ora è il ritorno in piena sicurezza di tutte le persone a bordo, con particolare attenzione alla salvaguardia dei nostri connazionali su cui il Governo deve vigilare con la massima determinazione”. Sottolinea ancora Fumarola: ”La comunità internazionale non può restare inerte, occorre valutare sanzioni adeguate per Tel Aviv con un impegno concreto dell'Onu, dell'Unione europea e dei Paesi coinvolti per costruire finalmente un piano multilaterale e sostenibile di pace. Questo significa cessate il fuoco immediato, liberazione degli ostaggi, resa di Hamas, apertura di corridoi e aiuti umanitari, pieno riconoscimento di due popoli e due Stati, rilancio del dialogo con l'Autorità nazionale palestinese, rinuncia delle annessioni in Cisgiordania. Non bastano azioni simboliche, serve una vera alleanza sociale per la pace, che unisca istituzioni, parti sociali, società civile e mondo religioso per iniziative condivise e continuative capaci di incidere davvero per una pace giusta e duratura che assicuri una concreta e libera convivenza tra popoli”.
Sostenere il piano di Trump per la pace a Gaza. Questa essenziale dichiarazione di intenti, approvata senza voti contrari alla Camera e con un solo no al Senato, riporta un barlume di unità tra maggioranza e opposizioni in un momento di tensione altissima nelle piazze. Però, mentre continuano i feroci scambi di accuse tra destra e sinistra, anche in Aula, quando è il momento di votare, tra gli scranni dei parlamentari l'impegno ad appoggiare quella che appare come l'unica prospettiva di tregua in Medio Oriente non ha trovato avversari. Governo e maggioranza tendono la mano al centrosinistra: accanto alla risoluzione originaria per il riconoscimento ”condizionato” della Palestina, indigeribile alle opposizioni, presentano un documento, brevissimo, solo sul piano di pace, più vicino alle sensibilità delle opposizioni: Azione lo sottoscrive; Pd, M5s e Avs si astengono; Iv e Più Europa danno il loro via libera, incassando il sì anche alle loro istanze. Il campo largo vota con alcune differenziazioni, dunque, che però non sembrano aver provocato tensioni tra le opposizioni. In tutto sono cinque le risoluzioni presentate a Montecitorio: due di maggioranza, una di Pd-M5s-Avs, una di Più Europa, una di Italia viva. Quattro vengono approvate. Una respinta: è quella di dem-pentastellati e rossoverdi, che chiedeva il riconoscimento senza condizioni della Palestina e sanzioni per Israele. Pd, M5s e Avs, da parte loro, votano no alla risoluzione del centrodestra sulla Palestina e si astengono su quelle centriste.
Di certo, i toni restano duri all'indomani del fermo degli attivisti della Flotilla.
E ora resta il rebus di come la Marina israeliana si muoverà riguardo agli aiuti contenuti sulle imbarcazioni. I carichi delle varie flotte stanno subendo in queste ore i provvedimenti di confisca: questo significa naturalmente che ogni aiuto ed ogni carico (si parla comunque nel complesso di 300 tonnellate al massimo) sarà oggetto di attenta verifica da parte dell'esercito israeliano, con check approfonditi soprattutto per quanto riguarda i sospetti di trasporto armi. Operazioni che non richiedono poco tempo.
Una volta controllati, per gli aiuti si aprono due strade: il governo potrebbe darli a una organizzazione umanitaria di quelle già operanti (e contestate) a Gaza o più probabilmente alle società tramite cui opera il Patriarcato latino di Gerusalemme. Si tratterebbe quindi di conferire al Patriarcato un ruolo di garante, un'opzione che in questo momento sarebbe preferita anche politicamente. E che era stata apprezzata anche quando si parlava di una possibile mediazione del Patriarcato nel caso la Flotilla avesse accettato di dirottare verso Cipro. Sarebbe ”un messaggio positivo verso l'Europa” commentano fonti vicine al Patriarcato.
Proprio Bruxelles è tornata a parlare dell'importanza dell'accesso degli aiuti a Gaza: ”Siamo in contatto regolare con Israele e con gli Stati membri riguardo agli aiuti umanitari a Gaza, e chiediamo costantemente un accesso rapido e senza ostacoli degli aiuti nella Striscia”, ha detto la portavoce della Commissione Ue Eva Hrncirova. Va da sé che gli aiuti della Flotilla, sotto l'eventuale garanzia del Patriarcato, da Ashdod, passando poi per la frontiera della Striscia, giungerebbero alla parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza City che ha operato in questi due anni come una sorta di centro di smistamento in favore di tutta la popolazione anche se sono 8 mesi che alla stessa parrocchia dove sono rifugiati anziani, malati gravi, disabili e bambini, non arriva alcun aiuto, né in termini di derrate alimentari né in termini di farmaci. Dal porto di Ashdod si arriva a Gaza con i camion. Un rappresentante del Patriarcato potrebbe recarsi in loco e per ora non è previsto che a Gaza vada direttamente lo stesso Patriarca, il cardinale Pierbattista Pizzaballa. Il quale, in una intervista a Mario Calabresi, afferma: ”Avrei evitato un confronto così diretto, soprattutto pensando alla gente di Gaza, perché non porta nulla alla gente di Gaza. Spero che tutto si concluda nel modo più pacifico possibile e che si possa tornare a parlare meno della Flotilla col dovuto rispetto per loro per le loro buone intenzioni sia ben chiaro. E più su quello che sta accadendo a Gaza”.
Giampiero Guadagni