Giovedì 9 maggio 2024, ore 7:02

L'Intervista

Regole istituzionali adeguate: un beneficio per i più deboli

Le riforme istituzionali sono uno dei dossier centrali anche di questa legislatura. Da sempre (almeno dal 1983 con la Commissione Bozzi) considerate un passaggio ineludibile per la nostra democrazia. Da sempre frenate da interessi contingenti e spesso strumentali. Conquiste mette a confronto le opinioni di due costituzionalisti di rilievo, entrambi ex presidenti della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici: Stefano Ceccanti, che ha anche alle spalle due legislature come parlamentare del Pd; e Giovanni Guzzetta, che nel 1993 allora giovanissimo giurista fu l’ideatore dei quesiti per il referendum sulla legge elettorale. 

Intanto: la forma di governo e la legge elettorale sono elementi che hanno un valore economico concreto, dunque con effetti diretti sulle tasche degli italiani e sullo sviluppo del Paese? O sono qualcosa di lontano dagli interessi reli degli italiani?

Ceccanti
Regole istituzionali adeguate non fanno direttamente le cose, ma fanno sì che essere possano essere fatte. Se giuste funzionano da acceleratori, se sbagliate funzionano da freni. Quindi la questione dell’aggiornamento costituzionale va presa sul serio, superando i limiti che a causa della Guerra Fredda, per la profonda sfiducia reciproca tra le forze politiche, pesarono allora sui nostri Costituenti e che da decenni non riusciamo insieme a superare.

Guzzetta
Gli andamenti economici al livello mondiale e a livello regionale o locale sono condizionati solo in parte dalla politica, ma nella misura in cui la politica può influenzarli la sua capacità dipende molto dagli strumenti istituzionali che ha disposizione. La politica, soprattutto per contrastare le tendenze economiche che creano squilibri sociali, ha bisogno di decisioni capaci di contenerli. Per questo è nata la democrazia, per consentire ai meno abbienti di contare. La capacità di decidere in un contesto liberal-democratico serve assai più a quelli che non hanno di quanto non serva a quelli che hanno e possono anche fare a meno della politica. Se le istituzioni non funzionano o funzionano male, coloro che se ne avvantaggiano sono soprattutto quelli che possono condizionare le decisioni al di fuori dei meccanismi democratici, insinuarsi negli anelli deboli, sfuggire alla responsabilità di fronte agli elettori. Una democrazia decidente è una democrazia che può cambiare.


Qual è il metodo politico corretto per arrivare alle riforme? Cosa non si è ancora tentato che vale invece la pena tentare? E, visti anche i precedenti, l'eventuale referendum è un esito auspicabile o da evitare?

Ceccanti
Le forze politiche italiane vollero un referendum su Monarchia e Repubblica all’inizio per sgombrare i lavori della Costituente da un aspetto divisivo e non vollero invece un referendum finale sul testo della Costituente perché questo avrebbe disincentivato un accordo durante i lavori. Infatti la Francia che lo previde non riuscì a darsi una Costituzione condivisa. Per questa ragione tutti dovrebbero perseguire l’esito di una riforma condivisa a due terzi come opzione preferenziale e non partire già con opposte campagne referendarie, cogliendo bene il senso dell’articolo 138 della Costituzione che considera la riforma a maggioranza con eventuale referendum solo una subordinata.

Guzzetta
Il metodo corretto è, per definizione, quello previsto dalla Costituzione, che consente due vie: la via dell’accordo dei due terzi dei parlamentari o la via della decisione a maggioranza con eventuale referendum popolare. Non c’è una gerarchia giuridica tra i due metodi. Certo il referendum, anche alla luce dei precedenti, è sempre un’incognita. Ma il prezzo di evitare il referendum è un accordo che fino all’ultimo può saltare. E se salta, dopo che magari le reciproche concessioni hanno reso la riforma meno chiara, più pasticciata o più debole, il referendum può fallire proprio per questo motivo. Perciò l’alternativa tra compromesso e chiarezza è una scelta politicamente difficile.

Andiamo nel merito. Come giudica l'ipotesi di premierato in campo? Come dovrebbe eventualmente essere modificata?

Ceccanti
Il confronto è aperto su due questioni: cosa fare ad inizio legislatura per fare in modo che, come accade nelle grandi democrazie parlamentari il rapporto fiduciario inizi di fatto dal voto degli elettori, rendendo il cittadino arbitro anche dei Governi; e come fare a disincentivare il trasformismo in corso di mandato. Sul primo aspetto il testo promette addirittura un’elezione diretta, ma così facendo, con tre possibili voti diversi, complica le cose anziché semplificarle. Non è meglio un unico voto per un unico Parlamento che dà la fiducia e che comprenda anche un’indicazione del Premier legata ai candidati parlamentari? Sul secondo il testo evita il simul simul che a livello nazionale sarebbe troppo rigido ma poi si cade in una serie di contraddizioni, con un secondo Premier più forte del primo e che potrebbe creare una maggioranza del tutto diversa. Non sarebbe meglio individuare altre regole serie che oggi mancano per disincentivare il trasformismo senza arrivare al simul simul e senza cadere in quelle contraddizioni? Ci sono su questo molte elaborazioni, che passano dalla Tesi 1 dell’Ulivo al testo Salvi della Bicamerale ai progetti recenti di Libertà Eguale e Magna Carta. Se c’è la volontà politica non ci sono ostacoli tecnici insormontabili.

Guzzetta
Io qui parlo da giurista, quindi la giudico nel rapporto tra fini politici che ci si prefigge e mezzi per raggiungerli. Da questo punto di vista il testo mi sembra coerente, soprattutto dopo gli emendamenti all’originaria proposta. È migliorabile? Tutto è sempre migliorabile, per esempio sul versante delle garanzie per l’opposizione o nella scelta dei meccanismi elettorali. L’unica cosa cui la scelta del premierato non può rinunciare è quella di far sì che vi sia coerenza tra maggioranza parlamentare e maggioranza che sostiene il Premier. Perché in quel caso sarebbe un fallimento, com’è già successo in Israele.

E conseguentemente quale sarebbe la migliore legge elettorale?

Ceccanti
Il collegio uninominale maggioritario a doppio turno, con l'indicazione del candidato Premier a fianco dei candidati di collegio perché consente di individuare bene i possibili eletti al Parlamento, scegliendo al primo turno quello più vicino e al secondo quello meno lontano, nonché di arrivare in via naturale alla formazione di una maggioranza parlamentare. Ovviamente in un’unica assemblea parlamentare che dà la fiducia al Governo perché non ha senso mantenere l’anomalia di due Camere diverse che danno la fiducia, col rischio di appendere il Governo a due risultati potenzialmente diversi.

Guzzetta
Una legge che assicuri alle forze che sostengono il premier eletto di ottenere la maggioranza in Parlamento. Poi le formule sono diverse. Ma l’impostazione non può che essere maggioritaria, se si vuole che questo modello funzioni. Ovviamente anche la scelta delle persone conta moltissimo.

Come giudica il progetto di autonomia differenziata? C'è veramente il rischio di accentuare i divari nel nostro Paese?

Ceccanti
Mi sembra che sfugga a tutti il problema di fondo. Il nostro regionalismo dovrebbe essere cooperativo ma manca di una sede istituzionale di cooperazione riconosciuta in Costituzione, che abbia le caratteristiche di trasparenza tipiche di un’assemblea parlamentare. Manca in altri termini di un Senato delle Regioni. Il problema quindi non è ciò che sta scritto nel Titolo V come riformato nel 2001, compresa la possibilità dell’autonomia differenziata, ma quello che manca. Il sistema fa già fatica a funzionare senza attuare l’autonomia differenziata, che lo renderebbe ancora più complesso, sarebbe ancor più complicato dopo. Quindi il problema non è schierarsi pro o contro la strada scelta dal Governo, peraltro molto complicata, ma di inserire prima possibile il Senato delle Regioni. Con quello diventa gestibile in modo razionale anche l’autonomia differenziata, senza quello complichiamo ancora di più il confuso quadro attuale.

Guzzetta
I divari nel Paese purtroppo sono aumentati fortemente anche senza l’autonomia differenziata. Forse il modello perseguito finora non è quello giusto. L’autonomia differenziata può offrire delle chances a chi voglia scommettere sulla propria capacità di governo. Se i divari aumentano perché qualcuno riesce a fare meglio, la soluzione non sta nell’impedirglielo, ma nel capire perché non possano fare meglio anche gli altri. Ogni tanto ho la sensazione, da meridionale, e mi dispiace molto, che sia proprio il sud a non credere in se stesso e nelle proprie possibilità. È questa la vera arretratezza. Ma se non si rompe il tabù, con o senza autonomia, il sud avrà sempre meno futuro. Continuerà in un inesorabile declino.

Nel sommario delle riforme istituzionali necessarie al Paese, a suo giudizio potrebbe essere inserito anche il tema della partecipazione dei lavoratori, secondo le proposte di legge in discussione, in particolare quella elaborata dalla Cisl? 

Ceccanti 
Si, è un importante tema di attuazione costituzionale, è una delle modalità più rilevanti in cui può essere declinata l'idea partecipativa. 

Guzzetta
L’art. 3 secondo comma della Costituzione stabilisce che la Repubblica si adoperi per rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione economica, politica e sociale del Paese. Le riforme sono un tassello di questa organizzazione. È ovvio che i lavoratori debbano partecipare, tutti i cittadini che concorrono al progresso morale e materiale del paese, in ogni forma, debbono partecipare. L’Italia è soprattutto dei suoi cittadini e di coloro a cui la lasceremo.

Giampiero Guadagni

( 7 marzo 2024 )

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