Venerdì 26 aprile 2024, ore 20:44

Digitale e crescita

Quando la politica industriale fa bene all’industria

di Carlo D'Onofrio

A volte la politica industriale fa bene all’industria. Magari è ancora presto per dire se l’Italia saprà riallinearsi ai paesi che hanno investito per primi sulla digitalizzazione della manifattura, però i dati sulla produzione industriale resi noti ieri dall’Istat per il mese di luglio (+ 0,1% congiunturale ma soprattutto crescita del 4,4% su base annua) lasciano ben sperare. A trainare infatti, oltre all’automotive (+ 9,1%), ormai una costante, è l’indice dei beni strumentali (+ 5,9%), al cui interno si distingue in particolar modo il dato di macchinari e attrezzature (+ 8%). Significa che il ritorno degli investimenti privati, certificato sempre dall’Istat nel secondo trimestre dell’anno, è una realtà che si va irrobustendo. E che il piano Calenda, con il suo ampio menu di incentivi (circa 13 miliardi di euro nel complesso), ha impresso un’ac - celerazione cui ora tocca al governo dare continuità con la prossima Legge di Bilancio, nella quale è prevista una rimodulazione degli stanziamenti ma non necessariamente una loro diminuzione (”tutte le ipotesi sono sul tavolo”, ha detto qualche giorno fa il capo della segretaria tecnica del Ministero dell’Economia Fabrizio Pagani). E’ vero che finora l’impatto degli incentivi sul tessuto industriale è stato diseguale: notevole al Centro - Nord, decisamente modesto al Sud. Uno studio della Svimez stima che alle imprese meridionali andrà alla fine solo il 7% delle risorse messe a disposizione per super e iper ammortamento. Se la previsione è corretta, il differenziale con le imprese del Centro Nord potrebbe assumere proporzioni monstre (650 milioni contro 8,6 miliardi). Forse una riflessione tra le stanze del Mef e quelle del Mise sarebbe opportuna, non per stravolgere l’im - pianto del piano, ma per affiancargli alcune misure che col tempo possano aiutare le imprese meridionali a superare i ritardi strutturali che ne frenano la corsa verso la digitalizzazione. Ritardi che i ricercatori della Svimez catalogano sotto tre voci: bassi livelli di innovatività, bassa diffusione delle tecnologie Ict assimilabili e dimensioni aziendali comparativamente inferiori. A dire il vero una delle voci di questo catalogo, la seconda, dovrebbe suscitare una riflessione dai confini geografici più ampi, non limitata al solo Mezzogiorno. La scarsa diffusione di competenze Ict e, soprattutto, la bassa copertura sul territorio nazionale della connessione veloce (banda ultralarga) fanno sì che le imprese italiane si trovino a competere con un braccio legato dietro la schiena. E difatti un report del think tank I - Com (Istituto per la competitività) presentato di recente a Bruxelles ci vede arrancare in 18esima posizione tra i paesi Ue per quel che riguarda le condizioni di accesso del nostro sistema industriale alla digitalizzazione. Un peccato se si considera che lo stesso rapporto conferma l’eccellente livello delle imprese italiane nella robotica, che in Europa ci vede al secondo posto dopo la Germania con una quota del 2,6% del mercato mondiale. Tornando ai dati Istat, la Cisl li definisce ”confortanti” e con il segretario nazionale Angelo Colombini chiede di ”proseguire in questa direzione". Colombini chiede anche di stringere dalla prossima legge di Bilancio sul capitolo del Lavoro 4.0, in altri termini di rendere sinergico il Piano Industria 4.0 con le politiche formative, quelle energetiche ed ambientali". Priorità cui va agganciato - aggiunge Colombini - il sostegno ”alla contrattazione decentrata come volano della redistribuzione della ricchezza prodotta dai lavoratori". Almeno riguardo alla formazione il governo sembra tutt’altro che sordo alle sollecitazioni dei sindacati. Nell’incontro della settimana scorsa sul ”pacchetto lavoro”, nel corso del quale si è discusso anche della decontribuzione per i giovani e di politiche attive, il ministro del Lavoro Poletti ha illustrato l’idea di concedere un credito d’imposta del 50% per le spese che le aziende sosterranno sulla digitalizzazione dei processi produttivi. Una misura che, prevedendo l’automaticità di accesso, ricalca concettualmente gli incentivi del piano Calenda. Scelta che non a caso lo stesso Calenda è tornato ieri a rivendicare definendo giusta la decisione di ”elimina - re gli incentivi inefficaci introducendo delle agevolazioni fiscali automatiche e non collegate ad una specifica dimensione o settore industriale. Ora - ha detto Calenda - bisogna continuare a lavorare sulle politiche dell’of - ferta concentrando risorse a beneficio delle imprese che producono e creano lavoro”. Più entusiasta di Calenda, comunque, è Matteo Renzi. Il segretario del Pd collega la crescita della produzione italiana, e più in generale quella dell’economia italiana, alle ”misure di bilancio di questi anni”. Poi affonda: ”Noi portiamo Italia fuori dalla crisi. Salvini e Grillo portano Italia fuori dall'euro”. Più pacato Paolo Gentiloni, che parla di un Paese ”finalmente in lenta ripresa, in realtà anche meno lenta di quanto si pensasse”. Per il presidente del Consiglio quello sulla produzione industriale è infatti ”un dato impensabile anche solo uno o due anni fa”.

( 12 settembre 2017 )

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