Giovedì 25 aprile 2024, ore 19:12

Francoforte 

Bce resiste al caro-prezzi e prepara il post pandemia 

Il mondo si agita per l'inflazione, ma la Bce cerca ancora di sfuggire alle pressioni per una normalizzazione della politica monetaria ribadendo che la fiammata è temporanea. Ma allo stesso tempo preparando una probabile, lenta e graduale 'exit strategy' che metterebbe fine a un decennio di espansione monetaria che ha portato il bilancio della banca centrale al 77% del Pil (la Fed è al 38%). Lo sfondo del meeting - il primo dopo che il 'falcò Jens Weidmann ha annunciato il suo addio alla Bundesbank - vede l'inflazione tedesca ai massimi dal 1993 al 4,1%, quella dell'Eurozona al 3,4%: ben oltre il 2% obiettivo della Bce.
In ogni caso il Consiglio direttivo della Bce seguiterà a condurre gli acquisti netti di attività nell'ambito del Pepp, con una dotazione finanziaria totale di 1.850 miliardi di euro, almeno sino alla fine di marzo 2022 e, in ogni caso, finché non riterrà conclusa la fase critica legata al coronavirus. Il Consiglio "continua a ritenere che possano essere mantenute condizioni di finanziamento favorevoli con un ritmo degli acquisti netti di attività nel quadro del Pepp moderatamente inferiore rispetto al secondo e al terzo trimestre dell'anno". Inoltre la Bce conferma che l'intera dotazione del Pepp non necessariamente "dovrà essere utilizzata appieno".
Da mesi Lagarde e gli altri membri del direttorio a Francoforte insistono sul carattere transitorio delle pressioni inflazionistiche, dalle strozzature al commercio globale al caro-energia.
Ma sempre più economisti avvertono che, al netto di fattori transitori, il dopo-pandemia potrebbe portare un riequilibrio strutturale fra domanda e offerta globale, sancendo la fine del passato decennio di bassa inflazione. Lagarde deve fonteggiare le pressioni dei mercati, che anticipano un rialzo dei tassi già a fine 2022 spingendo al rialzo i rendimenti dei titoli pubblici. Un campanello d'allarme per la Bce perché inasprisce le condizioni finanziarie, e che costringerà Lagarde ad allontanare le attese di una stretta al costo del denaro. E poi c'è il futuro degli acquisti di bond: i governatori ne hanno parlato e la decisione è attesa a dicembre con le nuove stime d'inflazione, che la Bce probabilmente rivedrà al rialzo per la sesta volta consecutiva.
Cercando di conservare la flessibilità del Pepp che gli consente di concentrare gli acquisti sui Paesi più problematici (e permette di acquistare debito greco). Secondo uno studio di Pictet, in un caso o nell'altro gli acquisti di debito si dimezzerebbero a circa 570 miliardi di euro nel 2022 dai 1.100 miliardi sia del 2020 che 2021. Sono circa 320 miliardi al netto dei riacquisti di debito pubblico che scade, una cifra ancora in grado di finanziare buona parte dei deficit dell'Eurozona 2022. Ma l'aria cambierebbe, rispetto a un 2021 in cui la Bce (secondo l'Osservatorio conti pubblici italiani) a fine anno avrà finanziato il 95% del deficit italiano comprando circa 159 miliardi, e a un 2020 in cui ha comprato Btp per 175 miliardi, più dei 159 miliardi di deficit di quell'anno. Poi c’è un altro problema: dai microchip, alle batterie, ai rasoi fino ai pannolini: la carenza di materie prime comincia a produrre i suoi effetti anche sui prodotti di largo consumo. E se il risultato più vistoso è stato finora quello che ha riguardato i prodotti con una forte componente elettronica, dalle auto, ai telefoni alle playstation, scatenando tra l'altro in alcuni casi mercati paralleli per i prodotti più ambiti, i rincari interessano un sempre maggiore numero di settori. Quanto tempo impiegherà il forte rialzo dei prezzi delle materie prime a cui abbiamo assistito fin dallo scoppio della pandemia a tradursi in un generalizzato aumento dell'inflazione? È questo l'interrogativo che occupa in queste settimane i pensieri degli operatori industriali e finanziari, oramai sempre più scettici sulla cosiddetta 'temporaneità' della dinamica.
Rodolfo Ricci

( 28 ottobre 2021 )

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