Sabato 20 aprile 2024, ore 14:03

Francoforte 

La Bce non nasconde i timori per una inflazione troppo alta 

La Bce invita ancora una volta a tenere i nervi saldi di fronte a un'inflazione record che Eurostat ha certificato al 5% a dicembre: la presidente Christine Lagarde ribadisce la natura transitoria della fiammata dei prezzi. Ma dai resoconti della riunione dello scorso dicembre, emerge un nervosismo crescente per il rischio che i prezzi si mantengano oltre l'obiettivo del 2% ancora per tre anni. Uno scenario che resta marginale, ma se si avverasse rimetterebbe in discussione l' 'atterraggio morbido' dal maxi-stimolo monetario che aiuta l'economia europea. Rischiando di avvicinare ulteriormente la Bce alla strada intrapresa dalla Fed, che si appresta ormai ad alzare i tassi e ridurre il debito nel suo bilancio, in netta contrapposizione alla Banca centrale cinese (Pboc) che oggi ha nuovamente tagliato, di altri 10 punti base, il Loan prime rate (Lpr)di fronte allo scenario di marcato rallentamento dell'economia cinese evidenziato a fine 2021. L'inflazione - ha detto Lagarde in un'intervista a France Inter - si stabilizzerà e poi scenderà gradualmente nel corso di quest'anno. Le stime della Bce danno poi un 1,8% nel 2023 e 2024 nello scenario principale.

E dunque abbiamo "ogni motivo per non agire velocemente e inesorabilmente" come la Fed, che si appresta ormai ad alzare i tassi. È in quest'ottica che le minute, che riassumono le grandi linee della riunione del Consiglio direttivo, confermano l'orientamento accomodante concordato nel meeting del 15 e 16 dicembre: "L'accomodamento monetario è ancora necessario perché l'inflazione si stabilizzi sull'obiettivo del 2% nel medio termine". In fondo gran parte della fiammata inflazionistica, è il ragionamento, è dovuta a dinamiche di offerta (prezzi energetici e strozzature al commercio), non da eccessiva domanda come invece starebbe accadendo negli Usa. Non tutti sono d'accordo nel Consiglio direttivo, però.

E una frase delle minute rivela le divisioni fra le 'colombe', i 'falchi' e forse alcuni governatori che iniziano a temere che troppa inflazione rischia di indebolire i consumi e dunque la crescita. L'inflazione - si legge - nello scenario di base, nel 2023 e 2024 "è già relativamente vicina al 2%, e considerando i rischi al rialzo della previsione potrebbe facilmente risultare superiore al 2%". Da Francoforte trapela che è la linea solo di alcuni governatori. Ma se si avvicinasse alla realtà, rimetterebbe tutto in discussione. Perché la Bce può lasciare i tassi ai minimi record fintanto che i prezzi non si riavvicinano stabilmente al 2% restandoci fino alla fine dello scenario di previsione. E in Germania il dibattito è infuocato. Juergen Stark (già consigliere esecutivo Bce dimessosi nel 2011 in opposizione agli acquisti di bond) e altri due economisti, Thomas Mayer, Gunther Schnabl, scrivono su Project Syndicate che "è sempre più chiaro che l'inflazione guadagnerà velocità sena contromisure".

E "una simile stretta creerà seri problemi ai Paesi dell'Eurozona più indebitati". Su un altro fronte, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha scelto il forum di Davos per dare una notizia: l'Ue a febbraio lancerà un pacchetto di misure - il Chip Act - per incoraggiare e sostenere la produzione di semiconduttori in Europa, cercando così di risolvere due problemi in un colpo solo. Ovvero proteggere la sovranità europea in un settore ritenuto strategico e arginare il rischio di nuove strozzature nella filiera, che tanti guai sta creando attualmente alla manifattura europea - basta pensare al settore dell'auto. I chip, infatti, ormai sono "ovunque", la domanda sta esplodendo e il fabbisogno europeo "raddoppierà in dieci anni".

La Commissione quindi pensa di agire su cinque fronti: "più produzione" localizzata in Ue, "leadership europea" nel design, migliorare "la 'cassetta degli attrezzi' necessaria a fronteggiare la penuria" di chip e il sostegno alle piccole aziende "innovative"; ultimo ma non ultimo, un'ulteriore "modifica delle regole sugli aiuti di Stato" per dar vita alle fabbriche europee. Già perché entro il 2030 l'Ue dovrà essere in grado di produrre "il 20% della quota mondiale di microchip". Un target davvero ambizioso, visti i numeri attuali. Ma l'Europa, sostiene von der Leyen, non è messa male. Nella ricerca figura tra i "leader" così come nella "componentistica" per la creazione degli impianti.

Rodolfo Ricci

( 21 gennaio 2022 )

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