Martedì 16 settembre 2025, ore 3:34

Lavoro 

Cisl: salari in crescita. Ma ancora sotto l’inflazione 

Le retribuzioni contrattuali nel primo semestre 2025 sono cresciute del 3,5% rispetto allo stesso periodo precedente. Ma guardando al dato depurato dall'inflazione restano inferiori di circa 9 punti rispetto a quelle del 2019. Lo scrive la Cisl nel Report sui salari spiegando che l'inflazione nel periodo è stata del 17,4% mentre l'aumento salariale monetario è stato dell'8,3%. Cresce la percentuale di lavoratori del settore privato coperti da contratti nazionali di lavoro rinnovati, passata dal 56% di fine 2024 al 65% a giugno 2025, coinvolgendo oltre 9,5 milioni di lavoratori.
I dati del primo semestre confermano che il modello italiano di contrattazione collettiva, nonostante le criticità, ”mantiene una capacità di adattamento e innovazione che altri sistemi europei non possiedono”. L'intensa attività negoziale ha prodotto risultati tangibili nella riduzione della vacanza contrattuale e nel miglioramento della copertura di lavoratrici e lavoratori del settore privato coperti da ccnl rinnovati. Tuttavia, permangono aree di criticità, in particolare nel settore metalmeccanico a causa del protrarsi della trattativa del rinnovo e nel settore del pubblico impiego dove la vacanza contrattuale media ha raggiunto i 40,4 mesi.
Osserva il segretario confederale della Cisl Mattia Pirulli: ”L’azione contrattuale sindacale, integrata con politiche fiscali mirate, ha prodotto una redistribuzione progressiva sulle retribuzioni nette. Queste politiche sono oggi da rilanciare per la crescita delle retribuzioni dei redditi medi e bassi”. Le retribuzioni basse e medie grazie alla politica fiscale hanno tenuto meglio rispetto all'inflazione di quelle più alte considerando un aumento dei prezzi uguale per tutti e non differenziato a seconda delle possibilità di consumo. Considerando anche l'intervento fiscale e guardando quindi alle retribuzioni nette un lavoratore full time mediano prendeva nel 2019 21.969 euro netti (30.755 lordi) e nel 2024 25.687 euro netti (33.027 euro lordi) con un incremento nominale di 285 euro al mese e un andamento reale in linea con l'inflazione. Per i redditi bassi si è passati da 17.217 netti a 19.720 euro netti in sei anni con un incremento nominale di 192 euro al mese. Ma l'inflazione è stata più alta di questo recupero e il gap nel potere d'acquisto resta di circa 500 euro annui (meno di 40 euro al mese).
Il sistema contrattuale italiano si trova a un "crocevia che richiede scelte strategiche chiare e coraggiose". Il Report evidenzia la necessità di ”accelerare i rinnovi contrattuali per proseguire con il recupero del potere di acquisto delle retribuzioni, con particolare urgenza nel settore meccanico e nel pubblico impiego, rafforzare la lotta al dumping contrattuale soprattutto nel terziario di mercato, l'estensione del diritto alla contrattazione decentrata di produttività a tutti i lavoratori ed attuare forme innovative di partecipazione in linea con la legge 76/2025”.
Secondo la Cisl ” serve oggi un grande Patto tripartito per rilanciare centralità e protagonismo del lavoro, affrontando le sfide tecnologiche e dell'intelligenza artificiale e individuando interventi condivisi su obiettivi strategici. Significa, tra l'altro, remare uniti per il rilancio industriale e dei servizi, per far crescere salari e produttività, innovazione e formazione, partecipazione e qualità del lavoro, incentivando anche l'occupazione giovanile e femminile. Su questi temi ci aspettiamo risposte concrete a partire dalla Legge di Bilancio”.
Dal Cnel arriva invece il rapporto sulla produttività. L'Italia accumula ritardo rispetto alle principali economie europee a partire da metà degli anni 90. Anche negli ultimi 5 anni, tra il 2019 e il 2024, la produttività è rimasta sostanzialmente ferma, nel suo complesso. E, nella media degli ultimi tre decenni, ha visto una crescita media annua dello 0,2%, molto inferiore alla media Ue (1,2%), così come a quella di Germania (1%), Francia (0,8%) e Spagna (0,6%). Il rapporto segnala il rischio, nel medio periodo, di un circolo vizioso tra salari bassi, pochi investimenti in innovazione e formazione e produttività stagnante.
Il report, realizzato dal Comitato Nazionale Produttività che è stato istituito presso il Cnel in attuazione di una raccomandazione del Consiglio dell'Unione Europea, indica una "apparente contraddizione". "Tra il 2022 e il 2024 - si legge in una nota - l'Italia ha registrato risultati positivi su crescita economica, occupazione ed export, in particolare se rapportati al complicato contesto internazionale e alla performance di altri paesi europei. Eppure, le dinamiche della produttività non sembrano riflettere l'andamento delle grandezze macroeconomiche". All'origine di questa anomalia sarebbe l'interazione tra caratteristiche strutturali dell'economia italiana, come la forza lavoro poco qualificata e in rapido invecchiamento e la predominanza di imprese di piccola dimensione, e lo shock dei prezzi del 2022-23, che ha ridotto i salari reali e ha incentivato l'investimento delle imprese nel fattore lavoro, a discapito del capitale.
L'ultimo quinquennio (2019-2024) si è caratterizzato per il buon andamento dell'occupazione (+4,4%), la cui dinamica è rimasta marcata anche negli anni interessati dallo shock energetico: tra il 2022 e il 2024 l'occupazione è aumentata a un tasso quasi doppio rispetto alla media Ue, trainata dall'espansione in alcuni settori ad alta intensità di lavoro ma anche a produttività media più bassa, come costruzioni, ristorazione, sanità e assistenza.
L'occupazione è quindi cresciuta, ma soprattutto in attività a basso valore aggiunto. L'Italia, in particolare, mostra un profondo divario rispetto alla media europea negli investimenti intangibili, ovvero quelli in beni immateriali, come software, ricerca e sviluppo, capitale organizzativo. Il tasso medio annuo di crescita degli investimenti intangibili in Italia tra il 2013 e il 2023 è stato inferiore al 2,5%, scrive il Cnel, contro il +4,7% in Francia, +6,1% in Svezia, e +5,8% negli Stati Uniti. L'adozione di tecnologie digitali è inoltre frenata dalle scarse competenze digitali della manodopera: solo il 16% dei lavoratori italiani ha competenze elevate nelle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (Ict), contro il 30% circa in Germania e Francia; solo il 15% dei laureati lo è in discipline Stem (scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche), a fronte di una media europea del 26%. Il Rapporto identifica una serie di raccomandazioni di politica economica, indicando un percorso per mettere al centro competenze, innovazione e dimensione d'impresa con un approccio sistemico e coordinato a diversi livelli di governo.
Giampiero Guadagni

( 10 settembre 2025 )

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