Dunque, l'Upb è uno dei primi a prendere atto dei risultati deludenti del Pil nel secondo trimestre, diminuito dello 0,1% rispetto ai tre mesi precedenti. Un calo che costringe l'organismo indipendente che verifica i conti pubblici a ritoccare le sue stime di crescita allo 0,5% sia nel 2025 sia nel 2026. Rispetto alle previsioni di aprile si tratta di una correzione di 0,1 punti percentuali per quest'anno- la stima si allinea a quella del Fondo monetario internazionale; e di 0,2 punti per il prossimo. Un rallentamento dovuto anche al forte apprezzamento dell'euro sul dollaro, che ha penalizzato l'export italiano. La spesa delle famiglie, sostenuta da un mercato del lavoro stabile, resta comunque prudente: l'indicatore di incertezza elaborato dall'Upb è peggiorato rapidamente da aprile a giugno, e la propensione al risparmio si mantiene elevata, intorno al 9% del reddito disponibile, oltre i valori pre-pandemia. Gli investimenti, pur avendo segnato un +1,6% nel primo trimestre 2025, mostrano segnali di incertezza. Le buone notizie sono sul fronte dell'occupazione: nel biennio 2025-26 ci si attende un aumento medio dello 0,5% in termini di unità di lavoro standard, pur con un leggero calo delle ore lavorate.
Il commercio estero è la variabile più critica. L'export ha inciso positivamente sul Pil solo nel primo trimestre, con un contributo dello 0,1%, in gran parte dovuto all'anticipo delle spedizioni verso gli Stati Uniti prima dell'introduzione di nuovi dazi. Nel secondo trimestre, invece, le esportazioni sono calate, riflettendo anche l'impatto dell'euro forte, un "dazio implicito" che riduce la competitività di prezzo delle merci italiane.
Le nuove stime non tengono conto dell'accordo sui dazi al 15% firmato da Usa e Ue, i cui contenuti non sono ancora del tutto definiti e che dunque resta pieno di incognite. E' certo, però, che l'impatto sul Made in Italy non sarà leggero. Per questo l'Ufficio sottolinea che ”il quadro macroeconomico dell'economia italiana è soggetto a rischi, prevalentemente orientati al ribasso”.
In attesa che venga ufficializzata la lista dei prodotti esentati dai dazi che scatteranno il 7 agosto, secondo una stima della Cgia, l'applicazione dell'aliquota al 15% dovrebbe causare all'Italia un danno, almeno nel breve termine, tra i 14 e i 15 miliardi di euro all'anno. Un importo che, in linea di massima, corrisponde al costo per realizzare il ponte sullo Stretto di Messina. Un danno, quello causato dalle politiche protezionistiche Usa, che, secondo la Cgia, racchiude sia gli effetti diretti (mancato export), sia quelli indiretti (calo margine di profitto delle imprese che continueranno a vendere nel mercato Usa, costo delle misure di sostegno al reddito degli addetti italiani che perderanno il posto di lavoro, trasferimento delle imprese o di una parte delle produzioni negli Usa).
Giampiero Guadagni