Il Fondo monetario internazionale alza le stime di crescita globali: rispetto alle previsioni di aprile, il Pil del 2025 viene rivisto al rialzo al 3% (+0,2 punti percentuali) e nel 2026 al 3,1% (+0,1 punti), grazie agli scambi commerciali intensificati più delle attese per anticipare i dazi che verranno, e a causa delle tariffe più basse di quanto annunciato ad aprile. Ma il quadro, sottolinea l'Fmi, resta fortemente incerto e i rischi orientati al ribasso, perché lo scenario delle previsioni si basa sul "precario equilibrio" delle politiche commerciali, ancora in fase di negoziati. Il Fondo monetario internazionale ha rivisto al rialzo le stime per l'Italia: il Pil 2025 sale a +0,5%, ovvero 0,1 punti percentuali in più rispetto alle previsioni di aprile, mentre resta invariata a +0,8% la crescita 2026. Anche per la Germania migliora la stima del Pil per quest'anno: +0,1%, mentre ad aprile era vista in stallo. Nessuna revisione per Francia (+0,6%) e Spagna (+2,5%).
"È importante riaffermare e preservare sul principio dell'indipendenza della banca centrale. È evidente che le banche centrali indipendenti, con un mandato stretto di perseguire la stabilità dei prezzi, sono essenziali per ancorare le aspettative dell'inflazione. È altresì evidente che le banche centrali sono riuscite ad ottenere un 'atterraggio morbidò nonostante la recente impennata dell'inflazione proprio grazie alla loro indipendenza e credibilità costruita con fatica", ha ribadito il capo economista del Fmi, Pierre-Olivier Gourinchas, dopo i numerosi attacchi di Donald Trump al presidente della Fed Jerome Powell. Il Fondo spiega che un'elevata incertezza in materia di politica commerciale potrebbe iniziare a pesare più significativamente sull'attività economica, soprattutto se gli ultimatum Usa sui dazi andranno a scadenza senza accordi "duraturi e complessivi".
Anche un'escalation delle tensioni geopolitiche, in particolare in Medio Oriente o in Ucraina, potrebbe generare nuovi shock negativi per l'economia globale, ad esempio se si interrompessero le catene di approvvigionamento. In quel caso anche le pressioni inflazionistiche potrebbero riaccendersi, rendendo il compito delle banche centrali ancora più complesso, proprio "nel momento in cui stanno già fronteggiando le sfide innescate dall'attuale contesto commerciale". Ma se vi fosse un progresso decisivo nei negoziati commerciali che porti all'istituzione di un quadro prevedibile, potrebbero calare i dazi e altre misure protezionistiche.
"Riducendo in modo significativo l'incertezza e favorendo la prevedibilità delle politiche, accordi non discriminatori volti ad abbattere le barriere commerciali potrebbero facilitare gli investimenti e altre decisioni aziendali. Il loro impatto potrebbe essere ancora maggiore se, oltre al commercio di beni, comprendessero anche i servizi digitali e gli investimenti esteri. Nel lungo periodo, i benefici si tradurrebbero in una crescita più rapida della produttività e in una maggiore resilienza agli shock esterni. Il Fondo incoraggia un simile scenario: "Una nuova ondata di accordi commerciali credibili potrebbe inaugurare una più ampia stagione di riforme a sostegno della crescita nel medio periodo. In un contesto economico globale più complesso, potrebbero diventare inevitabili progressi nelle politiche del lavoro volte al miglioramento delle competenze, la riduzione delle barriere alla mobilità, la semplificazione della regolamentazione per le imprese e misure per rafforzare la concorrenza e l'innovazione".
R. R.