Venerdì 26 aprile 2024, ore 18:31

Dibattito

Perché la battaglia dell’Ig Metall su orario e salario ci riguarda

di Gianni Alioti* e Marco Bentivogli**

La vertenza contrattuale che riguarda complessivamente 3,9 milioni di addetti ai diversi settori dell’industria metalmeccanica ed elettrica in Germania, segna una discontinuità. Ci piaccia o no. Dopo anni di ragionevolezza e moderazione dettate dalla crisi economico-finanziaria, la IG Metall (il più grande sin- dacato al mondo per numero di iscritti) ha innestato la quarta. Non perché abbia radicalizzato la propria linea, abiurando il recente passato. Ma per un cambio di fase e di prospettiva, dovuta alla crescita di produttività del paese in modo diffuso. La priorità per anni, anche nella stabile Germania (oltre un autentico terrore della crescita dell’inflazione), è stata la difesa e la creazione di lavoro. Anche a costo di accordi di concessione e di contenimento delle richieste contrattuali (ricordiamo, ad esempio, che nel rinnovo del 2013 non ci fu aumento dei salari). Al punto che il Financial Times nel novembre del 2016 evidenziava, con un grafico illuminante, come le retribuzioni in Germania non fossero riuscite ad aumentare di pari passo con la produttività del lavoro, dando - in questo modo - alle imprese tedesche un vantaggio rispetto alla concorrenza estera.

La forbice tra incrementi della produttività oraria del lavoro e salari reali ha cominciato a ridursi (come il grafico dimostra) dai rinnovi contrattuali del 2014. Ora per IG Metall è, però, giunto il momento che i lavoratori tedeschi recuperino la loro parte di ricchezza che - in questi anni - hanno contribuito a generare. Con una fase economica in piena espansione, con il portafoglio ordini delle aziende pieno e profitti da record è, pertanto, su queste basi contestualizzare la rivendicazione di un aumento salariale del 6,0 per cento in presenza di un’altissima produttività (riscontrabile da noi solo nelle medio grandi imprese) e un’inflazione tra 1,7-1,8 per cento (tenuto conto che in Germania esiste un unico livello di contrattazione collettiva: o di Land o aziendale).

Ma oltre all’aumento salariale il sindacato metalmeccanico tedesco punta a introdurre, con il rinnovo contrattuale, il diritto individuale dei lavoratori a ridurre la loro settimana lavorativa da 35 a 28 ore, per un periodo di due anni, con la possibilità di tornare a tempo pieno. La perdita di salario per compensare la riduzione dell’orario a 28 ore per prendersi cura dei figli o dei genitori anziani, dovrebbe essere sostenuta – in base alla richiesta del sindacato - dai datori di lavoro. Con questa richiesta innovativa, la IG Metall mette la qualità della vita al centro del round negoziale. E crea un precedente molto importante per una maggiore autodeterminazione dell'orario di lavoro - nella fase di sviluppo di Industry 4.0 - da parte dei lavoratori. Un passo in avanti nella “libertà d’orario” che come Fim sosteniamo da tempo e che oggi vede nella tecnologia un grande alleato.

La digitalizzazione, l'emergere dello smart working, insieme alla globalizzazione hanno esercitato nei confronti dei lavoratori una pressione verso una maggiore flessibilità ed estensione della prestazione lavorativa nell’arco della giornata. Finora, ciò ha solo avvantaggiato le aziende, spesso a scapito della vita dei lavoratori. Ora si aprono nuovi spazi. La richiesta di IG Metall per un migliore equilibrio tra vita professionale e vita privata fa eco a un dibattito analogo che si sta svolgendo nei sindacati in tutta Europa, sull'intensificazione del lavoro e la pressione esercitata dalle imprese a lavorare di più.

Una recente indagine condotta dal sindacato dei lavoratori metalmeccanici francesi, Fgmm-Cfdt, indica una forte tendenza a lavorare più ore dell'orario legale di lavoro senza compensazione. Ciò è particolarmente vero per i “colletti bianchi” che, a larga maggioranza, riferiscono che il loro effettivo orario di lavoro settimanale è superiore a quello contrattuale senza alcun tipo di compensazione. Inoltre, lo studio mette in evidenza i confini tra orario di lavoro e tempo libero che stanno diventando poco chiari, specialmente per le persone che possono lavorare in remoto usando i dispositivi mobili. E dare forma ai tempi di lavoro per il futuro in un mondo del lavoro in evoluzione è una sfida che i sindacati devono assolutamente affrontare.

A queste richieste la Bdi, la Confindustria tedesca, si sta opponendo con un’intransigenza che ha portato ad una sospensione del negoziato. Nella scorsa settimana sono stati coinvolti oltre 340.000 lavoratori, a livello nazionale, negli scioperi di avvertimento (brevi interruzioni del lavoro di alcune ore per sit-in e manifestazioni, scioperi a fine turno ecc.). Il fulcro di queste azioni di sciopero è stata la Baviera, dove si concentrano tra le più importanti imprese dei settori automotive e aerospaziale. La pressione sugli industriali continuerà, fintanto che non si riprendono le file di un negoziato. E in caso di rottura definitiva i soli iscritti al sindacato saranno chiamati a decidere l’avvio dello sciopero ad oltranza attraverso un referendum.

La lotta intrapresa da IG Metall sia per riallineare i salari agli incrementi di produttività, sia per un moderno sistema di orario di lavoro, è una questione centrale per tutto il sindacalismo europeo. Il prossimo 30 e 31 gennaio toccherà al workshop dei sindacati dell’industria del sud Europa in programma a Roma mettere a punto il proprio punto di vista, in preparazione della Conferenza di industriAll Europe sulla Contrattazione Collettiva "Labor 4.0: una forte contrattazione collettiva per modellare la digitalizzazione” (Bratislava 6-7 dicembre 2018), la quale dovrà definire un piano d’azione coordinato su scala europea.

Bisogna, però, aver chiaro che in Germania, a differenza dell’Italia, esiste un solo livello contrattuale. Il contratto collettivo, di cui stiamo parlando, si rinnova a livello dei singoli Länder, scegliendone uno come pilota (generalmente dove il sindacato è più forte), estendendolo con alcune specificità agli altri Länders. Il contratto collettivo di settore in Germania (anche nei settori industriali) ha ridotto notevolmente il suo grado di copertura. In alternativa diversi grandi gruppi (come la Volkswagen) contrattano solo a livello aziendale e, sempre più imprese (specie di piccole e medie dimensioni) applicano la clausola di uscita dai contratti collettivi firmati dalla Confindustria tedesca per applicare regolamenti aziendali unilaterali, talvolta con il consenso informale dei rappresentanti dei lavoratori in azienda. In ultima istanza, solo da alcuni anni in Germania, si applica il salario minimo legale, il cui valore attuale è di 8,5 euro per ora lavorata. Per questi motivi, qualsiasi comparazione tra le rivendicazioni contrattuali nei diversi paesi in Europa deve essere contestualizzata ai diversi sistemi di relazioni industriali, livelli di produttività dei settori, taglia dimensionale media delle imprese ecc. Allo stesso modo le campagne “contro il decentramento contrattuale” di alcuni sindacati europei riflettono, in quei contesti, l’assenza di contrattazione aziendale, e il rischio di una restrizione di fatto degli spazi contrattuali.

Il modello contrattuale italiano nell’industria metalmeccanica, come scaturito dal rinnovo del Ccnl con Federmeccanica il 26 novembre 2016, il quale prevede un contratto collettivo nazionale che fissa la cornice di garanzia e offre spazio alla contrattazione aziendale o territoriale o di rete, può diventare un buon equilibrio. I contratti collettivi nazionali con le garanzie minime sul piano economico e normativo, arrivano a tutti, mentre la contrattazione di prossimità riesce ad intercettare meglio l’eterogeneità dello stato di salute (e delle taglie dimensionali) delle diverse imprese.

La lezione che emerge dalla vertenza tedesca di IG Metall è, quindi, la loro grande concretezza nell’aggiustare il tiro, verso l’alto o in difesa, secondo le condizioni di salute delle imprese. Da molti più anni di noi l’IG Metall ha abbandonato l’idea tutta simbolica e perdente - del salario variabile in- dipendente, che in Italia resta forte solo tra i top manager. Quello che è certo, è che le produzioni Industry 4.0 saranno sempre più “sartoriali” e contratti troppo lontani dalla fabbrica saranno del tutto inefficaci a intercettare i profitti e nel dar forza al potere del lavoro e intelligenza e sostenibilità alle relazioni industriali.

*Dip. Internazionale Fim Cisl

**Segr. Generale Fim Cis

( 16 gennaio 2018 )

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