Sabato 20 aprile 2024, ore 14:51

Lavoro 

Giovani occupati, in Italia una rarità 

Gli strumenti di welfare aziendale sono conosciuti dal 64,9% dei lavoratori, ma solo il 19,8% sa con precisione di cosa si tratta. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon. In merito alle tipologie di servizi e prestazioni maggiormente richieste, il 79,4% dei lavoratori desidera un supporto personalizzato, tagliato su misura rispetto alle proprie esigenze, il 79,2% chiede maggiori opportunità di conciliazione tra vita familiare e lavoro, il 79,1% integrazioni del reddito, il 78,0% un aiuto per risolvere i problemi burocratici nel rapporto con le amministrazioni pubbliche, il 68,1% una consulenza psicologica per affrontare le difficoltà quotidiane. Se le integrazioni del reddito sono largamente apprezzate, dal welfare aziendale i lavoratori si attendono anche un utile supporto per raggiungere una più alta qualità della vita. Il welfare aziendale sarà sempre di più uno strumento essenziale per i responsabili delle risorse umane per rimotivare chi è già in azienda e per attrarre nuovi lavoratori, in particolare i giovani. Fattore importante anche perché i lavoratori giovani in Italia sono diventati una rarità. Nel decennio 2012-2022 gli occupati 15-34enni sono diminuiti del 7,6%. E di lavoratori in futuro ce ne saranno sempre meno: nel 2040 le forze di lavoro nel complesso saranno diminuite dell'1,6%, come esito della radicale transizione demografica che il Paese sta vivendo. Intanto, nei primi nove mesi del 2022 ogni giorno in media 8.500 italiani si sono dimessi dal lavoro: il 30,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2019, prima della pandemia. Nello stesso periodo, ogni giorno in media 49.500 italiani hanno iniziato un nuovo lavoro: il 6,2% in più rispetto al 2019. Inoltre, in Italia la fascia della precarietà è ancora ampia: complessivamente, il 21,3% dei lavoratori italiani è occupato con forme contrattuali non standard (tempo determinato, part-time, collaborazioni). Se potesse, il 46,7% degli occupati italiani lascerebbe l'attuale lavoro. In particolare lo farebbero il 50,4% dei giovani e il 58,6% degli operai. Anche perché il 64,4% degli occupati dichiara di lavorare solo per ricavare i soldi necessari per vivere e fare le cose che piacciono, senza altre motivazioni esistenziali. Tra le ragioni di inquietudine, le difficoltà di carriera e le retribuzioni insoddisfacenti. Lavora da remoto il 12,2% degli occupati (la percentuale era pari al 4,9% nel 2019). Il lavoro da casa piace perché per l'81,3% consente una migliore conciliazione tra famiglia, vita privata e lavoro; ma il giudizio è positivo solo se lo smart working è alternato con giorni di lavoro in presenza.
Il calo dei giovani occupati negli ultimi 10 anni preoccupa naturalmente i sindacati. ”Un dato che rispecchia quello che noi sosteniamo da tempo che in questo paese: si parla troppo poco di lavoro e quando si parla di lavoro, si parla di lavoro precario. Bisogna intervenire, come abbiamo chiesto a questo Governo e anche a quello precedente sul lavoro precario e sul lavoro povero”, afferma il leader della Uil Bombardieri, per il quale ”occorre avviare una discussione sulla riduzione dell'orario di lavoro a parità di trattamento economico, che sia anche uno stimolo per discutere di produttività con una sperimentazione di accordi di secondo livello sui territori o per filiere”.
Il segretario generale della Cisl Sbarra ricorda che la riduzione dell'orario di lavoro è una ricetta che il sindacato di Via Po ”ha storicamente sempre sostenuto per accompagnare le trasformazioni tecnologiche, ridistribuendo il lavoro in modo da salvaguardare occupazione, aumentare i salari, rilanciare la produttività”. Lo Stato potrebbe favorire questo processo ”incentivando gli accordi aziendali per la riduzione dell'orario o il part-time agevolato”. Sbarra chiede di ”aprire una fase sperimentale, individuando 100 imprese grandi e medie dove trasformare, su base volontaria, accordi di produttività in riduzione oraria” specificando che ”già molte aziende in Italia stanno praticando questa strada che potrebbe essere esportata in tutti gli stabilimenti del gruppo Stellantis a cominciare da quelli nel Mezzogiorno”.
Giampiero Guadagni

( 1 marzo 2023 )

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