Ultime ore prima della verità sui dazi. La deadline scatterà infatti domani alle 12 della costa orientale Usa, ovvero le 18 in Italia. E cosa accadrà dopo al momento nessuno lo sa con certezza. Qualche indicazione l'ha data però il segretario al Tesoro, Scott Bessent: le trattative con l'Ue, dopo un avvio lento dei negoziati, "procedono" e - sostiene - "ci sono stati progressi. Saremo molto impegnati nelle prossime ore", ha aggiunto poi sottolineando che diversi importanti accordi saranno annunciati nei prossimi due giorni. Un tono conciliante che fa il paio con le dichiarazioni diffuse a Bruxelles dalla Commissione, impregnate di cauto ottimismo.
Ma non vuol dire nulla. Il terreno, si sa, è sempre più friabile a pochi passi dalla meta, specie se al di là del traguardo c'è Donald Trump. "Siamo concentrati su 18 paesi che rappresentato il 95% del nostro deficit commerciale", ha sottolineato Bessent nel corso di un'intervista alla Cnn, notando che la strategia applicata nelle trattative è quella della "massima pressione".
L'Ue lo sa bene. ieri si è svolta la riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti - essenzialmente il direttorio dell'Unione, dove siedono gli ambasciatori dei 27 - in modo da coordinare la risposta, 'deal' o 'no deal'. Per ora solo il Regno Unito e il Vietnam hanno stretto un accordo con gli Usa sui dazi (c'è che l'ha definito come il primo vero risultato della Brexit, dato che altrimenti Londra sarebbe stata obbligata a trattare insieme agli altri Stati membri dell'Ue). La Gran Bretagna ha strappato il 10%. Che poi è quello a cui punta Bruxelles.
Il Vietnam invece il 20%. Ovvero molto meno del 46% annunciato lo scorso aprile nel Liberation Day. "Nel complesso, consideriamo l'accordo tra Stati Uniti e Vietnam un passo positivo verso accordi bilaterali più duraturi per gli Usa e verso una maggiore chiarezza per gli investitori", ha affermato Ulrike Hoffmann-Burchardi, responsabile globale delle azioni presso UBS Global Wealth Management, in una nota pubblicata la scorsa settimana.
E continuano serrate anche le trattative commerciali fra gli Stati Uniti e il Giappone: il capo negoziatore di Tokyo ha avuto almeno due telefonate con il ministro del commercio americano Howard Lutnick, di cui una di un'ora sabato. Il Sol Levante è nel mirino del tycoon da alcuni giorni con la minaccia di dazi al 30%, 35% o quanto vogliamo. È la famosa prevedibilità che tanto piace ai mercati e che è stata invocata recentemente pure da diversi leader europei - uno su tutto il cancelliere tedesco Merz - secondo i quali l'incertezza rischia di essere persino peggiore dei dazi (purché contenuti sotto una certa soglia). Trump lo ha capito è infatti usa una tecnica mista, bastone e carota. Le 12 lettere ad altrettanti Paesi con dentro la cifra da pagare - secondo il Tycoon saranno sulla falsa riga del "congratulazioni, pagherai il 25%", in pieno stile 'Apprentice' - sono partite ieri e, se non ci sarà accordo, i dazi torneranno al livello del 2 aprile e scatteranno dal 1° agosto. La missione dunque è contenere i danni.
"Fare previsioni è difficile, il 10% non sarebbe un dazio insopportabile per la nostra economia", ha evidenziato il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani al Forum in Masseria. Alla domanda se si vada verso dazi differenziati per settori ha risposto: "Ci sono tre o quattro ipotesi diverse, evitiamo contromisure sul whisky, lasciamolo perdere, e cerchiamo di esportare più vini possibili". Il resto del mondo osserva, non necessariamente in silenzio. Il mondo e le borse restano alla finestra, ormai consapevoli che l'ordine basato sulle regole si va a farsi benedire se le regole le decide il più forte.
Rodolfo Ricci