Il tasso di disoccupazione totale è stabile al 7,2%, quello giovanile sale al 21,8% (+0,2 punti). E' la stima preliminare dell'Istat. La diminuzione del numero di persone in cerca di lavoro (-0,2%, pari a -4mila unità) coinvolge gli uomini, i 15-24enni e i 35-49enni; al contrario, la disoccupazione aumenta lievemente tra le donne e gli ultracinquantenni. La crescita del numero di inattivi (+0,5%, pari a +61mila unità, tra i 15 e i 64 anni) si osserva tra gli uomini e tra chi ha un'età compresa tra 15 e 49 anni; l'inattività diminuisce invece tra le donne e gli ultracinquantenni. Il tasso di inattività sale al 33,3% (+0,2 punti). Rispetto a gennaio 2023, calano sia il numero di persone in cerca di lavoro (-8,1%, pari a -162mila unità) sia quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-1,3%, pari a -157mila).
A gennaio la disoccupazione media dell'euro è scesa al minimo storico del 6,4%, secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, che apparentemente ha ritoccato i valori dei mesi precedenti e ora indica un 6,5% di questa voce su tutti e tre i mesi dell'ultimo trimestre. In termini assoluti l'ente di statistica comunitario ha contato 11 milioni 9 mila disoccupati a gennaio, 34.000 in meno rispetto al mese precedente. Guardando a tutta l'Unione Europea a gennaio il tasso di disoccupazione è rimasto stabile al 6% per un totale di disoccupati pari a 13 milioni 144 mila.
Per il segretario confederale della Cisl Pirulli ”occorre rilanciare l'economia promuovendo investimenti pubblici e privati così come occorre intervenire sul sistema di orientamento e formazione e sulle politiche attive (ma anche su maggiori ingressi mirati di lavoratori stranieri) per sopperire alle difficoltà di diversi settori che denunciano difficoltà di reperimento della forza lavoro”. Il calo dell’occupazione ”se letto insieme all'aumento della cassa integrazione, potrebbe essere figlio della bassa crescita del Pil, che però nel 2023 è comunque cresciuto dello 0,9%, in misura anche superiore alle previsioni della Nadef”. Una seconda possibile lettura di questo calo, secondo il segretario confederale Cisl, potrebbe essere ”la difficoltà delle aziende a reperire le competenze richieste. Tale seconda interpretazione è suggerita sia dalla contemporanea riduzione dei disoccupati ed aumento degli inattivi, sia dai dati Excelsior sulle assunzioni programmate dalle imprese, che erano oltre 500.000 a gennaio e oltre 400.000 a febbraio e che potrebbero avere avuto difficoltà a concretizzarsi”. Comunque ”le due spiegazioni non sono tra loro alternative e sono entrambe realistiche ed ugualmente preoccupanti”.
Dunque, l'economia italiana cresce più delle previsioni nel 2023. Ma il deficit è peggiore delle stime, mentre il debito pubblico segna un tangibile miglioramento sia rispetto al 2022 che alle previsioni del Governo. Il primo dato positivo è sicuramente quello sul Pil. Rispetto alla stima del 30 gennaio diffusa dall'Istituto di statistica in base ai dati trimestrali, che nel dato corretto per i giorni lavorativi indicava una crescita dello 0,7%, quello grezzo diffuso oggi segna invece un aumento dello 0,9%. Migliore anche rispetto allo 0,8% calcolato dal governo nella Nota di aggiornamento al Def. L'andamento del Pil ha avuto anche un effetto matematico sul debito pubblico, che è sceso ben sotto la soglia del 140% al 137,3%.
L'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche, misurato in rapporto al Pil, è stato pari a -7,2%, a fronte del -8,6% nel 2022. Nel 2023 il Pil ai prezzi di mercato è stato pari a 2.085.376 milioni di euro correnti, con un aumento del 6,2% rispetto all'anno precedente.
Ma per il ministro dell’Economia Giorgetti ”i numeri ci dicono che l'emorragia dell'irresponsabile stagione del Superbonus ha avuto un effetto pesante sul 2023, andando purtroppo oltre le già pessimistiche prospettive. Con la non semplice chiusura di quella stagione, la finanza pubblica dal 2024 intraprende un sentiero di ragionevole sostenibilità”.
Quanto all’inflazione, a febbraio resta ferma allo 0,8% mentre aumenta dello 0,1% su base mensile. La stabilizzazione del ritmo di crescita dei prezzi al consumo si deve principalmente all'affievolirsi delle tensioni sui prezzi dei Beni alimentari, non lavorati e lavorati, i cui effetti compensano l'indebolimento delle spinte deflazionistiche provenienti dal settore dei beni energetici.
Infine, nel 2023 la pressione fiscale complessiva è risultata pari al 42,5%, invariata rispetto all'anno precedente, per effetto di una crescita del Pil a prezzi correnti (+6,2%) pari a quella delle entrate fiscali e contributive (+6,3%).
Giampiero Guadagni